Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Ma Trump ha il diritto di rivelare i segreti dell’America ai russi?
Il presidente americano Donald Trump non conosce prudenza, ed essendo stato messo sotto accusa dal Washington Postha confermato le accuse benché il suo staff le abbia smentite!
• Di che si tratta?
Lo scorso 14 maggio Donald ha ricevuto nello Studio Ovale della Casa Bianca il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, e l’ambasciatore russo negli Stati Uniti, Sergej Kislyak. Un fotografo della Tass, l’agenzia di stampa moscovita, ha scattato delle belle foto, dove i tre si mostrano cordialmente amiconi, e infatti sappiamo di pacche sulle spalle e risate. Gli americani non sono abituati a confidenze del genere con il gran nemico di sempre, ma per l’influente quotidiano Washington Post (di proprietà di Jeff Bezos, l’inventore di Amazon) non è quello il punto: secondo il quotidiano in quel colloquio il Presidente ha rivelato ai russi certe notizie segrete sui russi stessi. Se non si fosse trattato del capo della Casa Bianca, sarebbe senz’altro un crimine, dato che si trattava di informazioni classified, cioè da mantenere top secret, con tanto di numeri identificativi. Ma negli Stati Uniti d’America l’unico che può declassificare un dossier segreto è proprio il capo dello Stato, che in questo caso può agire a suo piacimento, senza coinvolgere nessuno.
• Perché allora scaldarsi tanto?
La questione è delicata sotto il profilo politico. Gli americani hanno ottenuto quelle informazioni da un paese terzo, che non è stato informato e non ha autorizzato la divulgazione di quello che ha scoperto. Questo paese terzo, secondo il New York Times sarebbe Israele e quelle informazioni potrebbero ora essere «passate all’Iran, stretto alleato della Russia e una delle principali minacce per Israele in Medio Oriente». La Ue avrebbe già manifestato perplessità sul comportamento di Trump, chiedendo «maggior riservatezza» per il futuro. C’è poi la faccenda di Hillary Clinton, massacrata durante la campagna elettorale per l’uso disinvolto, o leggero, che aveva fatto della sua posta elettronica. E non è ugualmente leggera questa confidenza fatta ai russi? Anche se legalmente Trump non è incriminabile, ci sono questioni di opportunità forse non trascurabili, soprattutto per via delle accuse che riguardano l’ipotetica influenza degli uomini di Putin sull’elezione dello scorso novembre. James Comey, capo dell’Fbi, che voleva indagare sul punto, è stato clamorosamente rimosso e la faccenda fa ancora discutere.
• Quindi, meglio smentire.
Così hanno pensato quelli dello staff, sia il segretario di Sato, Rex Tillerson, che Herbert Raymond McMaster, consigliere per la Sicurezza nazionale. McMaster era presente all’incontro nello Studio Ovale e ha detto ai giornalisti: «Il presidente e il ministro degli Esteri russo hanno esaminato le minacce comuni poste dalle organizzazioni terroristiche, comprese le minacce al traffico aereo. In nessun momento sono state menzionate le fonti dell’intelligence».
• Invece Trump, fregandosene delle dichiarazioni del suo staff, ieri pomeriggio ha detto che il «Washington Post» ha ragione: lui quelle rivelazioni ai russi le ha fatte davvero.
Proprio così. Le parole di Trump, affidate come al solito a un paio di tweet, sono queste: «Come presidente volevo condividere con la Russia (in un incontro alla Casa Bianca programmato ufficialmente), cosa che ho assolutamente il diritto di fare, alcuni fatti relativi al terrorismo e alla sicurezza dei voli aerei. Per ragioni umanitarie, inoltre, voglio che la Russia faccia grandi passi avanti nella sua lotta contro l’Isis e il terrorismo». Tra le notizie classificate, tra l’altro, ci sarebbero quelle sul fatto che l’Isis sta programmando attentati da eseguire mediante tablet portati a bordo degli aerei, che però è un’idea nota da sei mesi e che abbiamo scritto persino noi sulle pagine di Altri Mondi. I russi hanno risposto a questo ennesimo pasticcio americano con una dichiarazione di Dmitri Peskov, portavoce del Cremlino: «Non ci compete, non vogliamo avere niente a che fare con questa fesseria, qualcosa che non si può né confermare né smentire».
• Secondo me, ci andranno di mezzo i responsabili della comunicazione della Casa Bianca.
Il Washington Post, che di Trump è nemico, suppone di sì. Sul suo sito ha scritto: «La scorsa settimana, dopo il licenziamento di Comey, la Casa Bianca inizialmente aveva dichiarato che il presidente aveva agito in risposta a un memo del vice procuratore generale Rod J. Rosenstein. Ma successivamente, in un’intervista a Lester Holt su Nbc, Trump aveva ammesso di aver deciso la rimozione di Comey ben prima del memo di Rosenstein e in parte perché frustrato dall’inchiesta sulla possibile collusione tra la sua campagna presidenziale e il governo russo. Anche all’epoca del siluramento di Comey, Trump era rimasto sorpreso dalla quasi unanime e bipartisan condanna della sua decisione. E aveva scaricato la sua rabbia sullo staff, minacciando di scuotere una West Wing già nel tumulto. Lunedì notte, a seguito dell’articolo del Washington Post, il presidente si è mostrato profondamente deluso dai responsabili della comunicazione, il direttore Mike Dubke e il segretario alla stampa Sean Spicer». I democratici e i loro giornali amici stanno disperatamente cercando qualcosa che permetta loro di mettere Donald Trump in stato d’accusa al momento delle elezioni di mid-term, tra un anno e mezzo, quando sperano di avere la maggioranza per destituirlo.
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