Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
La Cina ha svalutato la sua moneta, buttando giù non solo i listini asiatici, ma anche quelli europei, tutti in rosso tranne Atene: Francoforte -2,68%, Parigi -1,86%, Milano -1,12%, Londra -1,06%. Atene ha guadagnato il 2,14% per il fatto che l’accordo da 86 miliardi fra Tsipras e i creditori è ormai prossimo: manca solo l’assenso dell’Eurogruppo di venerdì e poi, naturalmente, il sì dei vari Parlamenti.
• La faccenda della Cina la capisco e non la capisco. Intanto: che cosa significa, realmente, “svalutare”?
Significa “togliere valore”, cioè abbassare il prezzo. La moneta cinese si chiama yuan o renminbi. Mettiamo che fino a ieri ti compravi uno yuan con dieci lire. Da oggi, dopo la svalutazione, ne basteranno magari 9,5. In termini reali: la svalutazione è stata fatta sul dollaro. Con un dollaro adesso ti compri un 2% in più di yuan, cioè lunedì scorso con un dollaro ti compravi 6,1162 yuan e oggi con un dollaro te ne compri 6,2298. In sede di contrattazione, la svalutazione è stata ancora più forte: con un dollaro ieri sera si compravano 6,32 yuan.
• Questo è male? Voglio dire: è male per noi?
Sì. Gli effetti più evidenti sono due. Avendo abbassato il valore della loro moneta, i cinesi hanno di conseguenza abbassato i prezzi delle loro merci, che a questo punto risultano più competitive sui mercati. Nello stesso tempo accade che i prezzi delle merci straniere, comprese quelle italiane, sono saliti, e quindi le nostre esportazioni in Cina sono destinate a calare. Le Borse hanno capito subito questo aspetto della faccenda e hanno penalizzato soprattutto i marchi del lusso e della moda, che, svalutando, la Cina mostra di voler tenere a distanza. Bloomberg ha calcolato che la Cina pesa per il 2% sull’intero fatturato di Luxottica, per il 15% sulle vendite totali di Tod’s, per il 36,6% su Ferragamo (comprese, in questo caso, le altre economie asiatiche escluso il Giappone). Fuori dall’Italia: la Swatch dipende da Pechino per il 37%, Lvmh per il 29%. E potremmo andare avanti per un pezzo. Questi titoli, ieri, sono stati penalizzati dai mercati. E si teme che oggi possano esserci flessioni ancora più vistose.
• E il secondo effetto?
È una conseguenza di quanto abbiamo appena detto. Il consumatore cinese, avendo in tasca soldi che valgono meno, comprerà meno. Aspettiamoci cioè un calo complessivo della domanda, anche di quella interna, fenomeno che potrebbe indurre ulteriori mosse anticrisi da parte di Pechino, mosse impossibili da prevedere adesso. La Cina sta infatti tentando di passare da un’economia di prodotto a un’economia di servizi, rilanciando la domanda interna a discapito di quella estera. Sono operazioni complicate e che si portano a compimento - anche quando riescono - passando per tante difficoltà. Il guaio è che le difficoltà della Cina - primo paese esportatore e primo paese importatore - hanno sùbito un effetto sulle altre economie. Diciamo che non abbiamo nessun bisogno delle difficoltà cinesi.
• Come si è arrivati a questo punto?
La Cina s’è sviluppata tumultuosamente. Crescite del Pil anche del 14% l’anno, percentuale che le dirà qualcosa se considererà quanta fatica facciamo noi per spuntare un aumento dello 0,1. Ha contribuito a questo sviluppo formidabile anche l’edilizia: i cinesi hanno traslocato a forza milioni di uomini e donne dalle campagne alle città, fornendo alloggi e servizi. Le Olimpiadi del 2008 hanno stimolato la costruzione di decine e decine di grattacieli, che i cinesi tiravano su in poche settimane. E abbiamo visto tutti le foto delle grandi città cinesi, disegnate spesso su modelli occidentali. Beh, adesso anche in Cina è capitato che i grattacieli siano vuoti, le città deserte. È un primo elemento della crisi: la bolla edilizia. A questo bolla s’è sovrapposta la bolla delle azioni. Il governo ha spinto le famiglie, i piccoli risparmiatori, a comprare azioni, dall’inizio di quest’anno il valore dei titoli è cresciuto del 140%, poi a giugno il crollo: le azioni hanno perso il 30% del loro valore, mandando in rovina un sacco di gente. I 90 milioni di giocatori che si sono affacciati a questa nuova lotteria si sono oltre tutto indebitati per scommettere: per ogni dollaro messo in Borsa ne hanno preso uno in prestito dalle banche. Risultato: il governo cinese deve vedersela con un indebitamento enorme delle famiglie.
• C’è un modo per uscirne?
Ai crolli di borsa delle scorse settimane il governo ha reagito proibendo ai grandi azionisti di vendere azioni per sei mesi, mettendo fuori legge le vendite allo scoperto, e con altri interventi dall’alto a cui i mercati guardano con grande diffidenza. Pechino vorrebbe che la sua moneta fosse ammessa alle contrattazioni internazionali. Cosa non troppo semplice dopo quello che s’è visto negli ultimi mesi.
(leggi)