Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
«Cara Emma» scrive a un certo punto Marchionne nella sua lettera di ieri al presidente di Confindustria Emma Marcegaglia «ti confermo che Fiat e Fiat Industrial hanno deciso di uscire da Confindustria con effetto dal 1° gennaio 2012…»
• È grave?
Una decisione che avrà conseguenze enormi: sulla
Confindustria, sul sindacato, sul sistema delle relazioni industriali in Italia
e sulle politiche del lavoro e dello sviluppo. Oltre che, naturalmente, sulla
stessa Fiat. Quando si discuteva del contratto-diktat di Pomigliano, Marchionne
aveva avvertito «Emma» che la Fiat stava pensando a questa uscita, per tagliare
di netto gli infiniti lacci e lacciuoli che rendono difficile da noi la vita
dei padroni. Marcegaglia s’era precipitata a promettere e a scongiurare.
Inutilmente, come si vede. Fiat adesso se n’è andata e Confindustria conta, da
questo momento in poi, molto meno di prima. Quanto meno, lo diranno i prossimi
mesi. Non è la faccia principale del problema, ma vista la situazione
finanziaria del gruppo – non più rosea come un tempo – c’è un altro aspetto da
non trascurare. Confindustria dice che il Lingotto versava cinque milioni
l’anno, i calcoli sulle quote, che sono in ragione dei dipendenti di ciascuna
impresa, dicono invece che avrebbe dovuto pagare 28 milioni. Sarebbe un altro
guaio, naturalmente, se gli associati scoprissero che alla Fiat è stata
applicata in questi anni una tariffa di favore. Confindustria ha un giro
d’affari di circa mezzo miliardo.
• Intanto: che cos’è Confindustria?
È un sindacato. Il sindacato dei padroni. Quello che
si siede al tavolo con i sindacati dei lavoratori per siglare i contratti. È
chiaro che, senza la Fiat, Confindustria avrà una rappresentatività molto
relativa, specialmente nel settore metalmeccanico. A sua volta la Fiat potrà
siglare i contratti senza tener conto della politica di Confindustria. In un
certo senso, è come se la Fiat si fosse eretta a secondo sindacato padronale.
Però con un tale numero di dipendenti e di risorse e di legami internazionali
da concorrere da subito per la posizione di primo sindacato. E, come “primo
sindacato padronale”, Marchionne ha già messo in mostra uno stile inaudit
l’accordo di Pomigliano – e poi i successivi, identici, a Mirafiori e alla
Bertone di Grugliasco – erano del genere «prendere o lasciare». E i lavoratori
sono stati costretti a prendere, altrimenti il Lingotto sarebbe andato a
costruire le sue auto in Serbia o in Polonia.
• Come mai Marchionne se ne va proprio adesso?
Lo spiega lui stesso nella lettera, elogiando
all’inizio l’accordo interconfederale del 28 giugno (che dava diritto di
cittadinanza, nel senso Fiat, alla contrattazione aziendale e territoriale) e
l’articolo 8 dell’ultima manovra tremontiana, che ammetteva la libertà di
licenziare con l’accordo del sindacato più rappresentativo in azienda. Questo
articolo 8 ha suscitato le ire della Fiom e, al traino, della Camusso e si è
tentato di neutralizzarlo con un accordo interconfederale stipulato il 21 settembre.
Il giudizio di Marchionne su quest’ultima intesa è il seguente: «Con la firma
dell’accordo interconfederale del 21 settembre è iniziato un acceso dibattito
che, con prese di posizione contraddittorie e addirittura con
dichiarazioni di volontà di evitare l’applicazione degli accordi nella
prassi quotidiana, ha fortemente ridimensionato le aspettative sull’efficacia
dell’Articolo 8. Si rischia quindi di snaturare l’impianto previsto
dalla nuova legge e di limitare fortemente la flessibilità gestionale».
Confindustria ha rispost siamo «un’associazione volontaria di liberi
imprenditori. Prendiamo atto delle decisioni della Fiat pur non condividendone
le ragioni, anche sotto il profilo tecnico-giuridico».
• È facile immaginare che, alzando il livello
complessivo dello scontro, questa mossa potrebbe dispiacere non solo alla
sinistra, ma anche alla destra di Berlusconi.
L’amministratore delegato della Fiat ha negato con
tutte le sue forze che l’uscita da Confindustria abbia un significato politico.
«Per noi la Confindustria politica ha zero interesse. C’è gente che cerca di
trovare significati politici in quello che facciamo e diciamo. Siamo
lontanissimi da tutto questo. Siamo di una semplicità e di una innocenza
eccezionali. Lo facciamo in maniera onesta. Fateci fare gli industriali».
• La Fiat, almeno, resterà in Italia?
Sì, il comunicato di ieri si apre con la lista delle
macchine che saranno costruite in Italia. A Mirafiori sarà installata una delle
tre architetture sulle quali saranno prodotti diversi modelli dei vari marchi.
Un Suv a marchio Jeep andrà in lavorazione nella seconda metà 2013 a
Mirafiori.Inoltre sarà sviluppato
in Italia e prodotto a partire dall’inizio del 2013 nello stabilimento Fma di
Pratola Serra (Avellino) un nuovo motore benzina turbo a iniezione diretta per
il marchio Alfa Romeo
[Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta dello Sport 4 ottobre 2011]
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