Il Sole 24 Ore, 11 ottobre 2018
Il mistero del petrolio iraniano
A meno di un mese dalle sanzioni Usa, il petrolio iraniano scotta. Ma le esportazioni di Teheran potrebbero essere calate meno di quanto sembra. Le cifre che evidenziano un rapido e vistoso crollo delle vendite cominciano ad essere viste con sospetto da alcuni analisti indipendenti: se non proprio «fake news», appaiono comunque poco fedeli alla realtà.
A complicare le stime contribuiscono le astuzie che la Repubblica islamica è tornata a mettere in pratica per aggirare l’embargo, come aveva già fatto nel 2012/2015: trucchi da prestigiatore – come quello di far sparire le petroliere dai radar spegnendone il transponder – che ha affinato con l’esperienza. Un quarto della flotta iraniana di Vlcc (superpetroliere da 2 milioni di barili ciascuna) oggi è invisibile: 9 navi hanno disattivato il sistema automatico di identificazione in mare (Ais), altre 4 mandano segnali discontinui. Alcune di queste petroliere fantasma sembra che siano riuscite a consegnare greggio ai clienti in modo clandestino, con trasferimenti ship-to-ship in acque internazionali.Una avrebbe scaricato nei serbatoi di stoccaggio del porto cinese di Dalian, secondo fonti Reuters.
«Ci sono molti modi di ingannare – osserva Sara Vakhshouri, presidente di Svb Energy – Non è facile tracciare tutte le navi intorno al mondo e vedere che per qualche ora due di loro si collegano con un un tubo». Il monitoraggio non è comunque del tutto impossibile: di recente sono nate diverse società che scrutano giacimenti, stoccaggi e spostamenti del greggio con tecnologie di ogni genere, dalla fotografia satellitare ai raggi infrarossi. Il problema è che il progresso non è ancora riuscito a far riconciliare i dati, che talvolta sono molto diversi a seconda della fonte.
Per S&P Global Platts (che stima anche il greggio su navi fantasma) l’Iran ha esportato 1,7 milioni di barili al giorno a settembre: un crollo del 12% da agosto e di un terzo rispetto alla media 2017 (2,5 mbg secondo il Fmi). Reuters stima l’export a 1,6 mbg a settembre e a 1,1 mbg nella prima settimana di ottobre. C’è però chi giudica queste cifre troppo basse e sospetta che siano strumentalizzate a fini di propaganda. La polemica sta salendo di livello. «È una vergogna assoluta», twittava ieri Samir Madani, diventato una leggenda fra i trader di petrolio per aver fondato dal nulla TankerTrackers, società che traccia i movimenti del greggio e che vende i suoi dati a costi stracciati rispetto ai più sofisticati competitor. Madani è certo che l’Iran abbia esportato 2 mbg a settembre e si dice «sconvolto» per la diffusione senza scrupoli di «una bugia dietro l’altra» sull’andamento delle forniture.
Che all’origine delle discrepanze ci sia un inganno, un errore statistico o l’inadeguatezza dei sistemi di rilevazione, di certo l’enfasi sulla forte riduzione dell’export iraniano conviene a molti. Conviene alla Casa Bianca, che può vantare progressi verso l’obiettivo di «azzerare» le vendite di Teheran. Conviene ai grandi importatori, visto gli Usa hanno prospettato un esonero dalle sanzioni solo per chi dimostri di aver tagliato il più possibile gli acquisti. E conviene ai produttori di petrolio: tutti quanti, Iran compreso. L’allarme sanzioni è il fattore principale all’origine del rally che ha spinto il Brent ai massimi da 4 anni, fino a 86,74 $ la settimana scorsa.
Le turbolenze sui mercati finanziari ieri hanno schiacciato il prezzo verso 83 $, benché l’uragano Michael abbia chiuso il 40% della produzione Usa nel Golfo del Messico. Ma il petrolio è in rialzo di oltre il 20% da inizio anno e a questi prezzi l’Iran può sperare di difendere le entrate anche con volumi ridotti. Il calo delle vendite infatti non è del tutto «fake». Tra i clienti tradizionali molti, in Europa e in Asia, non importano più – o smetteranno ben presto – perché le sanzioni secondarie, che li taglierebbero fuori dal sistema del dollaro, sono una minaccia troppo grande.
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Sissi Bellomo