Libero, 10 ottobre 2018
Cristina, la regina bruttina che sedusse donne e prelati
Per sei ore, dalla mezzanotte del 18 dicembre 1626 alle sei del mattino seguente, re Gustavo Adolfo di Svezia, detto il Grande, esultò convinto di avere avuto il figlio maschio che aspettava da anni. Dopo tre gravidanze finite male della regina Maria Eleonora, «una sorta di ruggito imperioso e straordinario» aveva annunciato l’ingresso in questo mondo del sospirato erede. «È un maschio, Maestà», avevano annunciato con gioia le levatrici. Le quali però sbiancarono quando, liberato il neonato dalla placenta che lo copriva in parte, videro meglio il suo sesso. Si trattava di una femmina, affetta però da un’ipertrofia clitoridea così spiccata da essere scambiata per un maschio. All’alba, quando le poverette si rassegnarono a dire la verità al sovrano, questi le sorprese dicendo: «Ringraziamo Dio, perché questa bambina non sarà da meno di un maschio. Così piccina, già è riuscita a ingannare tutti». In seguito, a corte si parlò addirittura di un ermafrodito, e di questo ancora si dibatteva 340 anni dopo, quando la sua salma fu riesumata e sottoposta a una serie di esami che però non dissiparono i dubbi. Ecco ricostruita sulla scorta dei documenti più aggiornati, il suo ritratto. All’inizio del ‘600 la Svezia era impegnata nella sanguinosa Guerra dei Trent’anni. Uno dei milioni di morti che rimasero sui campi di battaglia fu, nel 1632, re Gustavo Adolfo. E fu così che Cristina, unica discendente della dinastia dei Vasa, a soli sei anni ereditò la corona. Per i successivi dodici, fino a che non divenne maggiorenne, fu affiancata da cinque reggenti. Per lei, come ha raccontato nelle sue Memorie, quel periodo fu un incubo. «Mia madre», ha scritto, «non aveva accettato la morte del marito. Volle che dal suo petto fosse estratto il cuore, che per due anni tenne accanto a sé in un’ampolla. Gridava e piangeva in continuazione e di me diceva che ero l’immagine vivente del re. Mi soffocava con le sue attenzioni. Altrettanto facevano i reggenti che invano cercavano di convincermi a scegliermi un fidanzato, possibilmente tra i miei nobili cugini». Cristina aveva nove anni quando dichiarò: «Il matrimonio implica delle soggezioni alle quali io non voglio sottostare, né posso prevedere quando riuscirò a vincere questa ripugnanza. In ogni caso nessuno si preoccupi: io non morirò zitella, morirò scapolo». Amori, tuttavia, ne ebbe molti e precoci. Primo a corteggiarla fu il bellissimo cugino Carlo Gustavo, al quale seguì Magnus Gabriel de La Gardie, figlio di una ex amante del padre. A Cristina piacevano entrambi, ma più di loro la intrigava una dama di corte, Edda Sparre da lei ribattezzata «Belle». Di solito le due ragazze dormivano nello stesso letto e a Cristina piaceva l’aspetto scabroso della situazione. Si divertiva a scandalizzare un ambasciatore inglese particolarmente pudico, Lord Whitelocke, dicendogli che «il di dentro di Belle è altrettanto bello del suo di fuori». La convinzione che la giovanissima regina fosse una lesbica, se non addirittura un ermafrodito, era rafforzata dalla sua voce roca, dalle scarpe senza tacco che prediligeva e dai suoi modi bruschi. Lei, del resto, non faceva nulla per contrastare i pettegolezzi e anzi dichiarava: «Mai sopporterei di essere usata da un uomo». Nello stesso tempo, dotata di grande sensibilità e di passione per lo studio, a 18 anni era già una delle donne più colte del suo secolo. Dal bottino di guerra dei suoi eserciti aveva ‘selezionato’ i pezzi più belli: da Tiziano a Veronese, da Tintoretto al Correggio, dando vita a una galleria d’arte in cui nacque poi il movimento poetico dell’Arcadia. Di più: a un certo punto Cristina volle che il suo maestro di filosofia fosse nientemeno che il grande Cartesio. E poiché quando si metteva in testa qualcosa non c’era modo di fermarla, il re di Francia – da lei pressato, convinse il grande filosofo a trasferirsi alla corte di Stoccolma.
L’INCORONAZIONE L’incoronazione di Cristina, celebrata il 20 ottobre 1650, fu un evento grandioso. «Da un anno», ha lasciato scritto lei, «avevo provveduto a nominare riservatamente mio erede Carlo Gustavo, il mio prediletto cugino che non avevo voluto sposare ma del quale ero stata l’amante. I festeggiamenti iniziati il 20 ottobre terminarono solo il successivo 10 febbraio». Dalla Francia erano arrivati il trono, la carrozza, il baldacchino dell’incoronazione in velluto intessuto d’oro e il manto della sovrana. Quest’ultimo, lungo quattro metri, era di velluto viola, foderato di ermellino e ornato di perle e coroncine d’oro massiccio. Era talmente pesante che, per spostarsi dal Palazzo reale alla Basilica, Cristina si dovette servire di una carrozza e non del cavallo come avevano fatto i suoi antenati. Le cerimonie ebbero un costo spropositato tanto che gli svedesi, dissanguati dalle tasse accennarono a ribellarsi. Tutto però finì quando il Primo ministro Messenius e suo figlio Arnold, che si erano messi a capo dei ribelli, furono condannati a morte. Messenius, per volere della regina, fu decapitato, mentre suo figlio fu condannato a essere dilaniato sulla ruota della tortura. «Cristina la sanguinaria», fu detto, e il medesimo appellativo venne ripreso quando, anni più tardi, la regina fece assassinare uno dei suoi molti amanti, il marchese Gian Rinaldo Monaldeschi. Passarono quattro anni. Poi l’inquieta regina, nel frattempo innamoratasi della moglie di un dignitario danese, Leonora Ulfeld, abdicò a favore di Carlo Gustavo. «Avevo 27 anni – sono parole sue – e volevo riprendermi la mia libertà per entrare nella seconda parte della mia vita». Così disse addio (con rammarico) a Leonora e partì alla volta di Roma, la città che per lei, appassionata d’arte e di storia, rappresentava il centro del mondo. A Roma avrebbe finalmente incontrato persone con interessi simili ai suoi e lì la sua straordinaria collezione di quadri avrebbe trovato la giusta ambientazione. Cristina giunse a Roma seguita da una ventina di persone. «Qui finalmente», annotò, «ebbe inizio la mia vita». Era da poco diventato Papa Alessandro VII Chigi, succeduto a Innocenzo X Pamphili e alla corrotta amante di lui, Olimpia Maidalchini. Il nuovo pontefice voleva, a sua volta, una donna potente al fianco e scelse Cristina. In onore di lei incaricò il Bernini di restaurare la grande porta di Piazza del Popolo, sulla quale ancora oggi si legge la scritta inneggiante al «felice e fausto ingresso» in città della regina di Svezia, che aveva sorpreso tutti indossando abiti maschili e cingendo la spada.
LA FELICITÀ Cristina era giunta a Roma per «consegnare nelle mani del successore di Pietro» la sua conversione: da luterana diventava cattolica. Il Papa le riservò grandi onori e altrettanto fecero i suoi tre successori: Clemente IX, Clemente X e Innocenzo XI. A Roma Cristina divenne intima del colto e ricchissimo cardinale Decio Azzolino del quale scrisse: «Non so se la nostra sia passione, ma questo certo non mi preoccupa». In un primo tempo il cardinale e Cristina tennero corte a Palazzo Farnese, donato a lei dal Papa. Poi lei, dopo un lungo viaggio attraverso l’Europa (e dopo essere stata sul punto di diventare regina di Napoli grazie all’appoggio del Re Sole), si stabilì a Palazzo Riario, il cui grande parco è attualmente sede dell’Orto botanico di Roma. Quale fosse l’aspetto di Cristina, che non si mostrava quasi mai a volto scoperto, è un enigma. Il cardinale Azzolino la descriveva come «più che bella», ma un impietoso ritratto del francese Misson, giunto a Roma per ammirare la sua pinacoteca, lo smentisce. «Ha più di sessant’anni, è molto bassa di statura, eccessivamente grassa e corpulenta», Misson ha lasciato scritto. «La sua voce e il suo viso sono quelli di un uomo. Ha un grosso naso e il doppio mento. Porta i corti capelli dritti e spettinati. Indossa abiti inverosimili: giacca da uomo di raso nero che le arriva alle ginocchia, gonna nera cortissima e scarpe maschili. Al posto della cravatta porta un grande nodo di nastri neri». Cristina lasciava dire, consolandosi imperterrita con ammiratori (e amanti) di diversa età. Nell’ultima pagina dei suoi diari si legge questa frase: «Sono stata anche felice. E quando lo sono stata mi sono sentita anche bella». Evidentemente il regista Rouben Mamoulian, quando nel 1934 affidò la sua parte a Greta Garbo nel film, La regina Cristina, prese sul serio le sue parole.