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 2018  settembre 19 Mercoledì calendario

Tra Boko Haram, Isis e miseria sta collassando il Niger, la porta del Sahara

«La sicurezza del Niger peggiora di anno in anno. Ormai tra banditi e terroristi islamici neppure la nostra capitale è più zona franca». Lo dicevano molto chiaramente i giornalisti nigerini che il 17 luglio scorso seguivano la visita di Antonio Tajani a Niamey. «Il nostro governo getta acqua sul fuoco. Ma la crisi è gravissima: Boko Haram, Isis e gli altri gruppi jihadisti hanno compiuto attentati e ucciso poliziotti sino a 40 chilometri dalla nostra capitale. La situazione è talmente instabile e fuori controllo che, anche quando vogliamo andare a visitare i campi di migranti che si dirigono in Libia, noi stessi dobbiamo fare attenzione già alle periferie di Niamey».
Il presidente del Parlamento Europeo si era recato nel Paese dove transita il 90 per cento dei disperati che cercano di arrivare alle sponde del Mediterraneo per raggiungere l’Europa con il proposito di proporre un «piano Marshall» di aiuti comunitari finalizzati a stabilizzare il Niger. Un progetto del resto condiviso. In Niger di recente sono stati anche Angela Merkel ed Emmanuel Macron spinti dall’intento logico e razionale di «aiutare l’Africa ad aiutarsi» e così porre fine alle ragioni prime delle migrazioni. Anche i dirigenti libici, da Tripoli a Tobruk, insistono affinché la comunità internazionale intervenga a sud dei loro confini e si rivolga direttamente alle popolazioni dell’Africa sub-sahariana. Ma tutto ciò appare progressivamente compromesso, o comunque messo in forse, dalla crescita esponenziale dei movimenti jihadisti alimentati dalla povertà, dai disastri ambientali e le guerre locali.
Parliamo di uno dei Paesi più poveri al mondo, dove il 40 per cento degli abitanti vive con meno di un dollaro al giorno e la cui popolazione è più che triplicata in un trentennio. Qui il radicalismo islamico ha gioco facile. Il Wall Street Journal segnalava ieri la crescita della presenza di formazioni di Boko Haram che s’infiltrano dal Burkina Faso (la stessa zona di confine dove è stato rapito il missionario Pierluigi Maccalli) e soprattutto dalla Nigeria, dove sono situate le loro maggiori roccaforti. Dal Mali e dall’Algeria transitano invece i gruppi che s’ispirano a Isis. E comunque tra i due gruppi della galassia islamica a questo punto le differenze sono ben poche, visto che dal 2015 Boko Haram sostiene di essersi affiliato al movimento di Abu Bakr al Baghdadi. Altra fonte di grave destabilizzazione sono i radicali che prosperano tra le masse di impoveriti in fuga dalle distese secche del lago Ciad, che in pochi decenni da uno dei maggiori serbatoi di acqua potabile del centro Africa è diventato una zona paludosa di pozzanghere malsane.
Non va poi dimenticata l’area al confine con la Libia, che ormai da 7 anni riflette tragicamente delle conseguenze della caduta del regime di Muammar Gheddafi su tutta la regione. Qui dominano le tribù Tuareg e Tebu, in competizione tra loro per il controllo del traffico dei migranti, che in questo momento langue, acuendo le tensioni locali. 
A Niamey i responsabili delle agenzie dell’Onu e delle organizzazioni umanitarie internazionali mettono in guardia gli occidentali che viaggiano per Agadez e poi sui gipponi che in circa una settimana arrivano al confine libico. «Solo qualche anno fa era il regno del turismo d’avventura. Oggi è diventata un’incognita pericolosa», avvertono dall’organizzazione non governativa italiana Coopi. Il Foreign Office a Londra sconsiglia i viaggi in Niger ai propri connazionali. Si legge sul sito britannico: «Un attentato terroristico a Niamey è ormai possibile in ogni momento. Evitare i locai frequentati dagli occidentali come i grandi alberghi».