Corriere della Sera, 13 settembre 2018
Cosa sappiamo oggi sulla cause del crollo del Ponte Morandi?
A un mese dal disastro, una certezza: cedimento strutturale. E l’ipotesi molto probabile che a cedere sia stato uno strallo, cioè uno degli enormi tiranti che reggevano in quel punto l’autostrada. Escluso l’attentato, esclusa la potenza celeste di un fulmine, gli inquirenti ritengono che il ponte progettato negli anni Sessanta dal creativo ingegnere Riccardo Morandi pensando a Brooklyn, possa essere collassato così, spezzandosi come un grissino e trascinando nel baratro tutto ciò che sosteneva, macchine, camion, uomini, donne e bambini.
Comunque sia, la Procura ha scelto di indagare su chi aveva la responsabilità del ponte: il Ministero per le Infrastrutture e i Trasporti (Mit) con le sue ramificazioni locali e in particolare il Provveditorato interregionale per le Opere pubbliche, e Autostrade per l’Italia.
Il soggetto pubblico e quello privato, il proprietario e il gestore, il controllore e il controllato, la struttura che dovrebbe pensare alla sicurezza pubblica e quella che cerca di garantirla con manutenzioni e verifiche. «Un rapporto nel quale il primo sembra avere abdicato al proprio ruolo», aveva detto fin da subito il procuratore Francesco Cozzi.
Venti gli indagati, che, semplificando, avrebbero in qualche modo saputo dei rischi del ponte: undici fra Autostrade e Spea (la società che aveva presentato il progetto di rinforzo degli stralli), nove quelli «ministeriali». Proprio ieri è stato ascoltato dai pm l’ad di Spea Antonio Galatà.
Seguendo un percorso cronologico, pm e Guardia di finanza hanno individuato 5 momenti importanti: nel 1981 (14 anni dopo l’inaugurazione del ponte) l’allarme lanciato dallo stesso Morandi: «La struttura ha subito un deterioramento più rapido del previsto. Gli stralli del pilone 9 (quello crollato, ndr) presentano infrazioni che ne pregiudicano la stabilità e la sicurezza»; nel 1993 l’intervento di rinforzo degli stralli del solo pilone 11; nel giugno 2015 la scelta di Autostrade di commissionare a Spea un progetto di rinforzo complessivo (retrofitting strutturale) che viene consegnato nel settembre 2017; il successivo 31 ottobre Autostrade chiede l’autorizzazione a eseguire i lavori al Ministero, dopo un parere del Politecnico di Milano che aveva così concluso: «Gli stralli del pilone 9 sono deformati, si consiglia monitoraggio continuo prima, durante e dopo l’intervento»; l’11 giugno 2018 l’atteso decreto ministeriale che approva il progetto.
«Con un ritardo di quasi cinque mesi», sottolineano caustici da Autostrade. «Siamo senza uomini e senza competenze», spiegano dalle Infrastrutture.
Domanda: come può un Ministero così depotenziato controllare un colosso del calibro di Autostrade? Gli inquirenti ne aggiungono un’altra: non sono forse troppi anche i due anni trascorsi per presentare il progetto? È una storia di ritardi privati e pubblici, di pastoie burocratiche, di rinvii, di sottovalutazioni e di mancati seri allarmi. A parte quello di Morandi che 37 anni fa aveva riconosciuto con qualche preoccupazione il difetto della sua creatura. Sulle cui macerie il 24 settembre si ritroveranno magistrati, periti e avvocati per un primo incidente probatorio.