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 2018  agosto 18 Sabato calendario

In morte di Claudio Lolli

Mario Luzzatto Fegiz per il Corriere della Sera
È morto, dopo lunga malattia, Claudio Lolli. Era nato il 28 marzo 1950 a Bologna. Da sempre affascinato dalla Beat Generation e da autori come Allen Ginzberg, Lawrence Ferlinghetti, Gregory Corso, durante il liceo inizia a scrivere le prime canzoni. Che riuscirà a far ascoltare a Francesco Guccini. Ricordando gli esordi Lolli dichiarò: «Quando un adolescente c’ha per mano una chitarra... che cosa può fare se non scrivere delle poesie, delle canzoni, dei racconti...».
Claudio Lolli era un cantautore impegnato, giro di Francesco Guccini/Osteria delle Dame. Duro e puro, ha lasciato canzoni dai testi forti, sanguigni, decisamente schierati. Basti pensare a un brano come «Borghesia»: «Vecchia piccola borghesia per piccina che tu sia non so dire se fai più rabbia, pena, schifo o malinconia». Questo brano, insieme ad altri come «Ho visto anche degli zingari infelici», probabilmente l’unica canzone in difesa dei rom mai creata da un cantautore, ne fanno una bandiera dell’utopia Sessantottina.
Un artista difficilmente etichettabile, un menestrello dell’impegno Claudio Lolli, grazie appunto a Guccini, riesce a incidere quattro album. Il primo, «Aspettando Godot» evoca lo stile di Guccini e anche quello di De Andrè. Pur con le ingenuità tipiche di ogni opera prima, emergono alcune tematiche caratteristiche dei dischi successivi di Lolli: l’impegno politico (in «Borghesia» e in «Quelli come noi»), il disagio esistenziale (in «L’isola verde» o in «Quanto amore»), la critica all’istituzione familiare (in «Quando la morte avrà», dedicata al padre), l’anticlericalismo (ancora in «Quelli come noi»), il senso della vita. Oltre a temi politici, Lolli ha saputo trattare, nell’arco di una trentina d’anni, svariati temi quali l’amicizia («Michel»), la desolazione e la crisi, sociali e culturali («Ho visto anche degli zingari felici»).
Nel 1972 esce, appunto, «Aspettando Godot» che è un manifesto programmatico. Canta di amicizia, di delusione e soprattutto punta il dito contro «la vecchia piccola borghesia». I testi sono feroci, ma l’approccio no, l’approccio di Lolli è sempre poetico, garbato, malinconico. «Ho visto anche degli zingari felici», del 1976 è il suo album di maggior successo. Descrive fra l’altro la strage dell’Italicus e la reazione della sinistra italiana. Il titolo è una citazione di un film jugoslavo del 1967, quattro strofe di tre versi ciascuna che costituiscono una libera rielaborazione dal testo di Peter Weiss cantata del fantoccio lusitano. Forse però la sua opera di maggior respiro è del settembre del 1977, «Disoccupate le strade dai sogni», disco anch’esso strettamente legato all’attualità, in particolar modo ai fatti di Bologna dell’11 marzo 1977 e alla morte di Francesco Lorusso.

La grande qualità di Lolli fu il linguaggio diretto, a volte soave nella forma, ma sempre durissimo nei contenuti. Cane sciolto della sinistra, restò un cantautore di nicchia, sempre in prima linea su tante battaglie civili. Ha collaborato con molti artisti. Nel 2017 ha vinto la Targa Tenco come miglior disco dell’anno in assoluto con l’album «Il grande freddo» disco realizzato attraverso una raccolta di fondi sul Web (crowdfunding).
In questi lungi anni anni Lolli ha continuato a cantare, a collaborare con grandi artisti. In qualunque battaglia Claudio Lolli c’era. Un compagno (come si sarebbe detto un tempo) e poeta che non ha mai mollato.

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Franco Giubilei per La Stampa
Se c’è un cantautore che ha saputo rappresentare la Bologna del ’77 nei suoi contorcimenti febbrili e poetici, questo è stato sicuramente Claudio Lolli. Alcune strofe tratte da Ho visto anche degli zingari felici, title track del suo quarto album del 1976, ne rendono il clima e l’atmosfera sognante, oltre che una vena no future nel testo che apparteneva a pieno diritto a quella generazione ribelle e perduta: «E’ vero che non vogliamo pagare, la colpa di non avere colpe e che preferiamo morire», «Ma ho visto anche degli zingari felici/in piazza Maggiore ubriacarsi di luna, di vendetta e di guerra». 
La chitarra al collo
Vengono in mente le feste di Radio Alice, la radio del movimento capace di portare in piazza migliaia di persone con la sola forza delle parole dei suoi dj improvvisati, chiusa di forza dalla polizia all’indomani della rivolta dell’11 marzo seguita all’uccisione di Francesco Lorusso da parte dei carabinieri (anche questa cantata da Lolli nel disco Disoccupate le strade dai sogni, ndr). 
Claudio Lolli, barba, occhiali e capelli lunghi, chitarra al collo, l’archetipo stesso del cantautore impegnato Anni 70, è morto ieri dopo una lunga malattia, ma a differenza di diversi suoi «colleghi eletta schiera che si vende alla sera per un po’ di milioni», come imprecava Guccini nella sua Avvelenata, non è mai sceso a patti col sistema, anzi l’ha preso per la coda fin da inizio carriera a partire dall’istituzione numero uno: con la famiglia, a cominciare dalla propria, se l’è presa in Borghesia, quando cantava in quel tono malinconico inconfondibile «di disgrazie puoi averne tante/ per esempio una figlia artista/ oppure un figlio non commerciante/ o peggio ancora uno comunista… Vecchia piccola borghesia, vecchia gente di casa mia». Il padre stesso è finito al centro di Quando la morte avrà, senza farci una gran figura, per usare un eufemismo.
Usava così in tempi di frattura totale fra le generazioni, e Lolli, nato nel 1950 sotto le Due Torri, la Causa l’ha sposata fino in fondo, militando da artista e poeta nelle file del movimento bolognese, un magma dove stavano insieme creatività e violenza, conati rivoluzionari e «paranoie galattiche» come quelle disegnate da un altro grande del periodo a cavallo fra Anni 70 e 80, Andrea Pazienza.
Scrittore e insegnante
Il cantautore, attivo anche come scrittore e di mestiere insegnante di italiano al liceo, si è fatto le ossa in un luogo storico come l’Osteria delle Dame, ha pubblicato i suoi primi quattro lavori con la Emi per poi, raggiunto il successo con Ho visto anche degli zingari felici, rompere con la major e passare alla label L’ultima spiaggia, con cui ha realizzato Disoccupate le strade dai sogni, prima che l’etichetta fallisse.
Il ritorno alla Emi per i dischi successivi segna, nel 1983, una collaborazione importante proprio con Pazienza, che realizza la copertina di Antipatici Antipodi. Il brano Formula Uno, per inciso, è firmato dal poeta Roberto Roversi, autore di diversi testi di Dalla, per un altro intreccio creativo tipico della Bologna di quegli anni. 
Diciotto album in tutto i suoi, l’ultimo un anno fa, Il grande freddo, come in un contrappasso ideale rispetto alla spinta politica che ne ha contrassegnato buona parte delle carriera, oltre all’amore per la letteratura americana della beat generation. C’è stato persino spazio per un festival di Sanremo, nel 2014, sia pure per interposta persona, quando Riccardo Sinigallia ha cantato i suoi Zingari felici insieme a Paola Turci e Marina Rei.