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 2018  agosto 18 Sabato calendario

I novant’anni di Luciano De Crescenzo

Il suo pubblico lo ha già festeggiato, visto che ha fatto entrare in classifica il suo nuovo memoir da poco in libreria. Luciano De Crescenzo, ingegnere, scrittore, regista, attore e «filosofo», compie novant’anni proprio oggi, lui che è nato a Napoli il 18 agosto 1928. E li racconta in un’autobiografia, Sono stato fortunato (Mondadori), che ripercorre i suoi diciotto lustri senza rimpianti o malinconia ma al contrario con una vena umoristica scanzonata che ricorda il suo personaggio più celebre, il professor Gennaro Bellavista. 
Una lunghissima esistenza, passata anche attraverso la guerra, la fame, ma anche il primo amore (scrive: «Ne ho avuti quattro: il primo amore da bambino, poi quello da adolescente, poi da giovanotto e infine da adulto»), l’esperienza di ingegnere all’Ibm, quasi fantascientifica negli anni Sessanta (tanto che sua madre si confondeva e diceva: «Mio figlio è ingegnere alla Upim»). E poi la lunga e fortunata carriera letteraria, anzi letterario-saggistica: accanto a bestseller come Così parlò Bellavista, uscito nel 1977 per Mondadori e padre di una felice serie, De Crescenzo ha raccontato in decine di saggi divulgativi (a cominciare dalla Storia della filosofia greca. I presocratici, del 1983) la filosofia d’ogni tempo e i miti greci. 
Lui, però, si sente tutt’e due le cose, autore e saggista. E, raggiunto dal «Corriere della Sera», spiega: «Uno scrittore, in quanto tale, può scrivere di tutto, anche di filosofia. Se poi come me ha la fortuna di essere letto da tanti, può capitare che il suo libro si trasformi in un’opera di carattere divulgativo. Anzi, di più, è possibile che riesca ad avvicinare chiunque a una materia come la filosofia, considerata di difficile comprensione. Ecco, credo che la mia soddisfazione come scrittore sia stata riuscire a spiegare con parole semplici concetti all’apparenza molto difficili».
Molti gli episodi comici e paradossali, e molti i ricordi narrati nel libro. Ma qual è il ricordo cui è più legato? «Ce n’è uno – risponde lo scrittore – che forse più di tutti risveglia in me una grande emozione. Quando nel ’94 sono stato proclamato cittadino di Atene. Per l’occasione hanno organizzato una cerimonia sull’Acropoli. Oggi quasi non mi sembra vero. Era un’occasione importante, quindi decisi di indossare un elegante vestito blu. Ma all’ultimo momento decisi di non calzare né calzini né scarpe. Mi dissi: “E quando mi ricapita di calpestare le pietre toccate dal mio amato Socrate?”. Non dico l’imbarazzo quando mi ritrovai al cospetto del sindaco di Atene. Era lì, tutto preso dalla cerimonia solenne, con accanto un uomo scalzo che non riusciva a smettere di sorridere».
L’amato Socrate e l’amata Grecia. Ma c’è una persona che ha lasciato il segno nella vita dello scrittore? Magari uno degli amici, come Renzo Arbore, o figure come Federico Fellini, cui De Crescenzo ha reso omaggio interpretando il film FF. SS. Cioè: «...che mi hai portato a fare sopra a Posillipo se non mi vuoi più bene?», diretto da Arbore.
«Di sicuro, Renato Caccioppoli – risponde De Crescenzo —, il docente di Analisi e Calcolo che considero da sempre il mio mentore. La sua aula in via Mezzocannone era così affollata che trovare un posto era quasi impossibile. Una notte lo trovai in strada, seduto sui gradini di una chiesa. Mi invitò a sedere al suo fianco. Chiacchierammo, poi a un certo punto mi disse: “Sai, quando hai paura di qualcosa, prendi le misure e ti accorgerai che si tratta sempre di una cosa molto piccola”. Insomma, non perdeva occasione per insegnarti qualcosa».
E infine Napoli, e la «napoletanità», come l’ha chiamata nei suoi libri. Ma che cos’è la «napoletanità»? «Il legame che ho con Napoli – conclude – è indissolubile, non soltanto perché ci sono nato, ma perché voglio bene alla mia città e mi sembra che ricambi l’affetto. La napoletanità è la capacità di proporzionare i propri stati d’animo alla gravità delle cose. Come diceva il professor Caccioppoli, qualsiasi cosa accada, noi napoletani abbiamo la capacità di valutarla e lasciarci un margine di disperazione per gli eventi più dolorosi. Che poi, una cosa simile l’ha detta anche Socrate: se misurassimo le nostre esperienze con il metro della morte, tutto il resto sembrerebbe di sicuro più facile da superare».