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 2018  agosto 14 Martedì calendario

Dalla tragedia di Marcinelle ai controlli «a campione»

In un mondo in cui tra il nero e il bianco non ci sono sfumature intermedie, su certi temi nascono delle sottigliezze che appaiono subito pretestuose. Nei giorni scorsi mi è capitato di riprendere le parole del ministro Enzo Moavero, che nell’anniversario di Marcinelle raccomandava agli italiani di fare tesoro della propria memoria di emigranti per comprendere le migrazioni attuali. Apriti cielo. Un mare di distinguo (e di insulti, ovvio). Soprattutto questo: i nostri emigranti partirono grazie a un accordo italo-belga che prevedeva lo scambio tra uomini e carbone; gli extracomunitari arrivano spontaneamente, in massa, non richiesti. Le regole che c’erano sessant’anni fa oggi non ci sono? È vero per il Belgio, dove però arrivarono anche tanti italiani «clandestini» grazie a trafficanti illegali e speculatori: il patto prevedeva l’invio di 2.000 minatori a settimana sotto i 35 anni, ma nelle miniere lavorarono (e morirono) anche i minorenni, quelli che non rientravano nei parametri e che si erano infiltrati senza rispettare le procedure. Ma se quella in Belgio fu un’emigrazione di Stato, per altri Paesi gli italiani sono partiti alla ventura, disperati e privi di certezze nel futuro. La sostanza è che oggi come ieri si emigra (oltre che per le guerre e le persecuzioni) per povertà e per lavoro, e che spesso per lavoro si muore. Dunque, le differenze, che pure esistono (è cambiato il mondo!), tra le nostre partenze e le migrazioni attuali non giustificano l’urlo indignato all’offesa nel vedere accostati i due fenomeni. Ripeto: se ci si offende, è probabilmente per una forma di razzismo che fa considerare meno degni dei «nostri» i morti «altrui». Sopravvissuti e vedove ricordano che la catastrofe di Marcinelle, con i 136 morti italiani, fu un tale choc per i belgi che da quella mattina (8 agosto 1956) il disprezzo verso i «macaronì» venne meno: i belgi cambiarono sentimenti da un giorno all’altro partecipando alla sofferenza e al lutto dei lavoratori stranieri. Oggi, viceversa, «pietà l’è morta» (e sepolta): non bastano i migliaia di morti (e non sepolti) per farci almeno riflettere. Giorni fa mi trovavo sul treno regionale tra Pinerolo e Torino: il controllore entra, salta tutti i passeggeri e chiede il biglietto all’unico africano presente sul vagone, in fondo. Il biglietto non c’era, dunque il controllore estrae il blocchetto delle multe chiedendo ironicamente al ragazzo se è italiano. Alla domanda (mia) sul perché controllasse solo lui, saltando gli altri, la risposta è stata che dopo sarebbe tornato indietro per controllare tutti i biglietti: «Ma intanto – ha detto – vado a campione». Criterio del campione? Il colore della pelle.