Corriere della Sera, 9 agosto 2018
Il pranzo futurista, bandite le posate e la pastasciutta
Nell’estate 1934 Filippo Tommaso Marinetti invitò a Levanto un gruppo di amici per un pranzo futurista, dal quale erano banditi la pastasciutta, «assurda religione gastronomica che sviluppa fiacchezza e pessimismo» e l’uso di forchette e coltelli per favorire l’esperienza tattile. Come primo venne servita la «pasta reale», palline natanti nel brodo, «sferiche, simultanee dinamiche». Di secondo un poco stupefacente fritto di pesce accompagnato dai vini bianchi delle Cinque Terre, come secondo di carne il piatto forte della cucina futurista, il carneplastico: un cilindro di vitello farcito con undici verdure e sostenuto da un anello di salsiccia poggiante su sfere di carne di pollo. Marinetti dotò gli ospiti di una tavoletta con carta vetrata e felpa, su cui dovevano strusciare la mano destra mentre con la sinistra attingevano al carneplastico. Ne venne fuori una confusione cui un commensale, tale Cristiano dei Buoncristiani, cercò di porre rimedio proponendo l’accompagnamento ritmico di tamburi. Il manifesto della cucina futurista, scritto da Marinetti e dal poeta Fillìa, venne pubblicato per la prima volta il 28 dicembre 1930 sulla «Gazzetta del Popolo», anche se il padre del movimento futurista aveva organizzato pranzi ispirati alla sua filosofia già nel 1910: a Trieste aveva costretto gli ospiti a mangiare cominciando dal caffè e risalendo a rovescio sino al vermouth. La cucina futurista non è stata soltanto trovate e bizzarrie, ma con l’invito a sperimentare sapori e colori nuovi ha anticipato la nouvelle cuisine.