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 2018  luglio 23 Lunedì calendario

Se il Libano perde gli alberi della Bibbia

Con il suo legname i fenici hanno costruito la loro mitica flotta e re Salomone il Tempio di Gerusalemme, gli Ottomani e gli inglesi ci hanno fatto ferrovie, gli Antichi Egizi hanno usato la resina per imbalsamare i faraoni mentre il decotto ricavato dalla corteccia è un ottimo anti-bronchite. Ma se anche il cedro del Libano non avesse posto nella storia dell’umanità, la sua bellezza basterebbe a farci stringere il cuore al pensiero che la sua sopravvivenza è in pericolo.
È uno degli alberi più imponenti, ammirati anche nei giardini europei dove cominciò a essere piantato nel Settecento. Quaranta metri di altezza, una chioma profumata di rami che si aprono in orizzontale con le pigne a testa in su. Per secoli ha ricoperto ampi tratti di Medio Oriente e ampie pagine di poesia. Il vegetale più citato nella Bibbia (70 volte) eccezion fatta per l’incenso oggi resiste in zone estese dei Monti Tauri, in Turchia. E in alcune oasi di alta quota, sempre più ristrette, nel Paese che gli ha dato il nome e che lo ha incorniciato nella sua bandiera e nel suo modus vivendi.
Simbolo di resistenza nel Libano delle guerre e delle conifere per come sa crescere in zone impervie, il Cedrus Libani oggi è sempre meno di casa proprio nella sua terra, ristretto in una superficie complessiva di 17 chilometri quadrati. L’allarme è lanciato sul New York Times da naturalisti come Nizar Hani, direttore della Shouf Biosphere Reserve, l’area che protegge la Foresta di Barouk a sud della capitale Beirut dove svettano esemplari che hanno oltre mille anni di età. Maratoneti della natura sopravvissuti agli imperi e ai conflitti che ora, scrive Anne Barbard, vengono minacciati dal riscaldamento globale prodotto dagli uomini per effetto dei gas serra. I cedri germinano con le gelate, preferibilmente sotto la neve. Ma entro il 2100, se i trend climatici continueranno di questo passo, quelle piante primordiali sopravviveranno in Libano solo sulla punta settentrionale del Paese, dove le montagne sono più alte. Nella Foresta di Barouk, fino a una generazione fa, si registravano 105 giorni di pioggia e 3 mesi di innevamento. Oggi l’acqua e la neve si prendono due mesi. E questo compromette il ciclo vitale dei cedri.
Anche sui monti del Nord, veramente, hanno vita difficile. La Foresta di Tannourine ha perso il 7% dei suoi «monumenti verdi» a causa di un insetto infestante che prolifera con l’innalzamento della temperatura ed era sconosciuto prima del 1997. La riserva più famosa, cintata dalla regina Vittoria d’Inghilterra nel lontano 1876, da vent’anni è patrimonio dell’Unesco che ora però lo considera uno dei siti più vulnerabili al global warning. Secondo una leggenda fu sotto quei rami che Gesù si manifestò ai suoi seguaci. È un’area accerchiata da attività umane, a 2.100 metri di altezza: eppure il conservazionista Youssef Tawk dal 1998 è riuscito a piantare 100 mila piante intorno alla vecchia riserva. I cedri arrivano a 2.500 anni ma crescono piano, di pochi centimetri all’anno. E cominciano a «figliare» quando raggiungono il mezzo secolo di vita: prima, niente pigne con dentro i semi.
E così, mentre nell’Africa australe il riscaldamento globale secca i baobab millenari, nel Mediterraneo anche «i cedri migrano verso nord», dice il direttore della riserva di Barouk. Il ministero dell’Agricoltura libanese 4 anni fa ha dato il via a un piano per mettere a dimora 40 milioni di alberi, cedri compresi. Certo le diatribe politiche che ingolfano Beirut rendono più difficile l’oculata presa in carico di abitanti così silenziosi, come vorrebbero gli ecologisti. Ma non si tratta solo di alberi, in un Paese dove la gente arriva a impegnarsi su qualcosa dicendo: «Lo giuro sui cedri».