Corriere della Sera, 20 luglio 2018
La grandi banche sono sempre più cinesi
Fino a qualche anno fa il settore bancario mondiale era caratterizzato da una leadership anglosassone, in particolare americana. Oggi è cambiato tutto: fra i cinque più grandi gruppi del mondo quattro sono cinesi. Un primato che balza subito agli occhi nell’edizione 2018 del focus sulle «Banche internazionali» realizzato da R&S Mediobanca.
La numero uno al mondo non rappresenta una novità. La Icb of China ha conquistato il podio nel 2016 superando per attivi la statunitense Jp Morgan Chase, oggi scivolata al quarto posto, e la distanza in termini di dimensioni è aumentata. Il totale attivo di Icb ha raggiunto nel 2017 i 3.343 miliardi di euro, 800 in più rispetto alla ex prima Jp Morgan: in sostanza significa più o meno che la differenza equivale agli attivi delle nostre due banche più grandi, Unicredit o Intesa Sanpaolo.
La crescita degli istituti cinesi, che vedono China Construction al secondo posto, Agricultural bank of China al terzo e Bank og China al quinto, è dovuta principalmente a due fattori. Da un lato le banche del gigante asiatico seguono e accompagnano lo sviluppo del Pil del loro Paese che, pur avendo rallentato la corsa rispetto a qualche anno fa, nel 2017 è cresciuto del 6,9%: quasi il doppio rispetto al Pil mondiale e il triplo nei confronti di quello americano o europeo. In secondo luogo in tutto il mondo, States compresi, dopo la grande crisi sono state molte le banche ad «alleggerirsi», cioè a cedere attivi. Contribuendo quindi a rendere ancora più significativa la scalata cinese.
Nella graduatoria dei primi dieci big seguono poi, senza grandi variazioni di posizione, la giapponese Mitsubishi, l’inglese Hsbc, l’americana Bofa e le francesi Bnp Paribas e Crédit Agricole. Fra le due italiane presenti si rintraccia invece l’altra rilevante novità della classifica. Unicredit con 854 miliardi di attivo passa dal posto numero 24 al 22esimo, ma è Intesa Sanpaolo a fare un balzo considerevole, salendo da 37esima al mondo a 25esima: progressione dovuta principalmente ai 50 miliardi di asset provenienti dall’operazione banche venete.
L’analisi R&S Mediobanca si concentra poi su alcuni aspetti significativi. Gli istituti europei non hanno ancora lo sprint di quelli americani ma riducono il gap reddituale. Per quanto riguarda i ricavi gli istituti Usa hanno visto un incremento del 3,1% contro l’1,7% di quelli europei: mentre in termini di commissioni nette gli aumenti sono allineati, sul margine di interesse le banche americane hanno visto un aumento del 5,4% contro una stabilità europea grazie anche all’incremento dei tassi da parte della Fed: quattro nel 2017. Migliore per le banche europee è stato infine il risultato della negoziazione, cresciuto del 22% contro il 7,2% Oltreoceano. I gruppi europei poi, grazie al contenimento dei costi operativi e al calo del 34,6% della svalutazione crediti (che diventa pari al 19,7% escludendo Unicredit che ha fatto una pulizia big di bilancio) hanno visto migliorare il risultato corrente del 28% contro il 4,2% in più americano.
Nel rapporto vengono poi sottolineati fra gli altri due aspetti. In primo luogo la riduzione in Italia del peso dei crediti dubbi lordi, passati per le prime 5 banche dal 18,7% degli impieghi del 2015 al 12% considerando anche le recenti cessioni di npl. Infine un aggiornamento sulle Landesbank (pubbliche) tedesche: pur con un risultato attivo di 899 milioni nel 2017, hanno accumulato dal 2007 8,9 miliardi di perdite.