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 2018  luglio 18 Mercoledì calendario

Calcutta, un fenomeno indie: vedo il mondo con leggerezza

«Punto a un successo molecolare, non voglio conquistare tutto l’organismo». Eppure Calcutta quest’estate si porta a casa l’Arena di Verona, con un concerto sold out il 6 agosto (prova generale nella sua Latina il 21 luglio).
«Il successo? È ancora una domanda. Cerco di razionalizzare, di guardare dall’alto. L’unica cosa che non mi piace è l’invasione della sfera fisica. Quando qualcuno ti arriva da dietro e ti tocca. Però questa cosa non mi è mai piaciuta quindi il successo non c’entra…». Calcutta – vero nome Edoardo D’Erme, quello d’arte «nasce dalla fantasia di un batterista con cui suonavo, ma adesso è una scatola vuota, il valore originario se mai c’è stato si è perso» – è come le sue canzoni. Al primo approccio, nei suoi testi o nelle sue chiacchiere, c’è qualcosa di contorto e sfuggente. Alla fine però tutte le caselle vanno a posto. Esempio: «Lo sai che la Tachipirina 500/ Se ne prendi due diventa 1000» è l’attacco di «Paracetamolo», uno dei singoli dell’ultimo album «Evergreen».
Non è una furbata da product placement pagato dalla casa farmaceutica e nemmeno la strada più diretta per un tormentone. Eppure è arrivata. «So che le mie parole suonano eccentriche, ma forse anche “Motocicletta... 10hp” creava le stesse reazioni. Cerco di rendere nazional-popolarizzabile un mondo che esiste. Però alla fine le singole parole sono meno potenti di quello che dici». 
E così a fronte di distese di campi di grano o di fragole e prati verdi ecco che in «Kiwi» spuntano campi dell’omonimo frutto. «Vicino a Latina è pieno di quelle coltivazioni. Mi serviva per contestualizzare la storia e il messaggio è arrivato a chi doveva arrivare. Mi servo delle canzoni per parlare a qualcuno, e intendo singole persone». 
Una passione musicale per Burt Bacharach («Il preferito di mamma e la costante dei miei ascolti»), il desiderio di «migliorare il pollice verde» e una buona mano nella preparazione di zuppe di verdure e legumi, una fuga a New York dopo il liceo («mi mantenevo facendo il deejay, il barista e il pubblico che applaude negli show tv»), esperienze in «gruppi musicali situazionisti» e due anni fa, dopo una lunga sequenza di porte sbattute in faccia al genere, è stato proprio lui (con Cosmo) ad aprire la porta delle radio al nuovo cantautorato indie. 
«Linus aveva iniziato a trasmettere di sua spontanea volontà “Cosa mi manchi a fare”. E anche Radio Rai ci aveva creduto. Noi non l’avevamo nemmeno mandata ai programmatori». Quell’estate arrivò «Oroscopo», quella con il ritmo in levare e il ritornello «tutta la notte, tutta la notte», e scoppiò il fenomeno. «Per un bel po’ l’ho ritenuta troppo tamarra. Adesso ci ho fatto pace. Però preferirei essere ricordato per essere il più bravo o il più bello (ride) e non solo come l’ariete». 
Non si sente parte di un movimento. «Anzitutto mi sembra che ci siano molte cose di scarso livello. A parte quello, la mia prospettiva è diversa. Quando scrivo penso a un piccolo gruppo di amici cui spero piacerà la canzone e che poi lo diffonderanno. Non è un non volere il successo, ma è non volerlo fare in un certo modo. All’inizio l’idea era quella di suonare ovunque, stare insieme e divertirsi con la musica. E poi, ovviamente, anche guadagnare. Voglio prendere le cose con leggerezza e stupore».