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 2018  luglio 18 Mercoledì calendario

I 30 anni di “Die Hard”

Nel 1988 giravano ancora i soldi, nell’aria circolava energia. E il 15 luglio usciva un memorabile film d’azione come Die Hard-Trappola di cristallo, ineguagliato nel suo genere, a dispetto delle varie imitazioni. Questa settimana l’action movie americano per eccellenza festeggia tre decadi, mentre Bruce Willis, cowboy Usa contemporaneo nel ruolo dell’indistruttibile detective John McClane, resta scolpito nell’immaginario. Magari perché il regista di Die Hard, John McTiernan, puntava sulla di lui vulnerabilità, studiata a tavolino con gli sceneggiatori Jeb Stuart e Steven E. de Souza. McClane, per esempio, ha paura di volare, il che ne fa un uomo di carne e sangue, più simpatico e umano dei supereroi politicamente corretti ora in voga nei blockbuster. Gente che deve educare il pubblico: McClane, invece, delle buone maniere se ne frega. Prendiamo un dettaglio mica marginale: quando il nostro stende il suo primo terrorista, ne nota i piedi più piccoli di quelli della propria sorella, sicché si rammarica – non potrà calzare le sue scarpe. L’uomo medio della middle class americana poteva identificarsi in tale piccolo dispiacere (uno spreco) e sorriderne, senza sentirsi una canaglia priva d’empatia per il nemico.
Nonostante le 4 nomination agli Oscar nelle categorie tecniche, il film non ebbe immediato consenso. Anzi, le critiche risultarono così-cosà, intanto che Bruce Willis, all’epoca in magnifica coppia d’assi con la collega Demi Moore, decollava come star di fascia alta: dopo Sylvester Stallone e Arnold Schwarzenegger, era lui il nuovo Apollo dei film d’azione americani. Fisicamente più sdutto dei due colleghi-panzer; mentalmente più moderno di loro, Bruce se la vedeva con l’antagonista Hans Gruber, villain germanico interpretato da Alan Rickman, a suon di pallottole e duelli verbali. Una bella lotta con i walkie-talkie nei quali fluiscono inganni e prese in giro, illusioni e ironie. «May-Day, May-Day su canale 9: benvenuto alla festicciola».
A rivederlo oggi, Die Hard, col senno di poi che ci fa giudicare la Germania un Quarto Reich, non sfugge l’eterno duello Europa-Stati Uniti. E mentre il Presidente Trump proclama gli Stati europei nemici economici, piace la rozzezza di Gruber, ignaro della cultura Usa: il concetto d’un gruppo di rapinatori tedeschi, che si trasferisce a Los Angeles per una rapina milionaria, con un piano meticoloso e attrezzature del massimo livello, ma viene sbaragliato da un uomo comune in canottiera, soltanto più avveduto di loro, funziona in senso anti-europeo. E, più marcatamente, anti-tedesco.
Tra l’altro, da Trappola di cristallo emerge con chiarezza la necessità di un ideale, nel corpo a corpo con la vita: da Mezzogiorno di fuoco in poi, l’idea dell’uno contro tutti è elemento fondante del sogno americano. Tuttavia, se l’intelligente e spietato Hans Gruber sembra guidato dall’avidità, intanto che mira al caveau del Nakatomi Plaza (è il Fox Plaza di L.A., realmente esistente), McLane non molla per salvare sua moglie e altri ostaggi. Moglie dalla quale è divorziato. Allo spettatore viene così suggerito che le unioni fondate sul potere appaiono fragili, mentre rispetto e fiducia sono rocce sulle quali l’alleanza è possibile. Non a caso sui titoli di coda parte l’Inno alla gioia di Beethoven, chiara allusione cristiano-religiosa al senso della vita.
Dopo Die Hard, il plot narrativo d’un pugno di cattivacci in cima a un grattacielo, sgominati da un solo poliziotto, mentre dabbasso ce ne sono altri mille, è diventato familiare. Il momento Bruce Willis se lo sono regalato un po’ tutti, da Danny De Vito (in It’s Always Sunny in Philadelphia) a Homer Simpson, mentre il rapper Ice-T l’ha trasformato in hip-hop, nell’album O.G. Original Gangster. Ne esistono molti altri, di riferimenti pop al primo Die Hard seminale, ma a elencarli tutti, addio ritmo Yippie-ki-yay!, che trent’anni dopo piace ancora.