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 2018  luglio 17 Martedì calendario

Flavio Insinna: «È stato Frizzi da lassù a lasciarmi la sua Eredità»

Strana, la vita. Un programma che si chiama L’eredità, e che effettivamente costituirà l’eredità più attesa ma anche più mesta – dei nuovi palinsesti Rai. Non solo: un conduttore che ha attraversato un brutto momento d’impopolarità mediatica, e che eredita il programma in assoluto più popolare del preserale televisivo. Il prossimo 24 settembre insomma – ce ne sarà quanto basta per galvanizzare (e preoccupare) il nuovo conduttore de L’eredità, Flavio Insinna. 
Quello di settembre non sarà per lei un semplice passaggio del testimone. Giusto?
«No. Sarà quasi un appuntamento del destino. Va bene: ora qualcuno dirà che sono mezzo matto. Ma se penso a quanto m’è accaduto, prima e dopo la scomparsa di Fabrizio, non posso non leggerci una sorta di misteriosa predestinazione. Dirò di più: sembra quasi che sia lui, a manovrare per questa successione».
In che senso?
«Quando andavo a trovarlo mentre registrava negli studi Dear (che presto si chiameranno Studi Televisivi Fabrizio Frizzi) lui mi illustrava sempre segreti e trucchi del programma, senza che io glieli chiedessi. Dopo la sua morte mi hanno chiamato a fare esattamente le stesse serate benefiche che faceva lui: Ora che non c’è più Fabrizio dicono sempre – abbiamo subito pensato a te. Quando poi per il mio compleanno alcuni fan mi hanno regalato una t-shirt sulla quale c’era una foto che ritraeva me e lui insieme... Beh: dite quello che volete. Ma queste cose m’hanno colpito: io ai segni del destino ci credo».
Tutto ciò aumenta o alleggerisce il peso dell’eredità che dovrà gestire?
«Non voglio pensarci. Rischierebbe di schiacciarmi prima ancora di cominciare. So solo che sono chiamato a non tradire Fabrizio per primo; e poi il pubblico, che (giustamente) mi chiederà il massimo. Su una cosa, però, sono pronto a mettere la mano sul fuoco fin d’ora. Ad aiutarmi c’è proprio Fabrizio. Si: c’è lui. Io parlo di lui sempre al presente».
Come sarà la sua Eredità?
«Seguendo le puntate di Fabrizio e anche quelle di Conti, quando Carlo m’invitava nel gabbiotto della regia, credo d’averne capito tre elementi. Primo: L’Eredità è come Dieci piccoli indiani, il giallo di Agatha Christie in cui i sospettati vengono eliminati uno alla volta, in un crescendo che porta all’individuazione del vincitore. Secondo: L’Eredità è come uno spartito. Ha le sue dinamiche: accelerazioni, pause, pianissimo, fortissimo. Terzo: come a teatro per un attore, così per il conduttore qui i silenzi contano quanto e (talvolta) più delle parole. Aumentano la suspense. Dovrò imparare a stare un po’ zitto, io che chiacchiero troppo».
Questo programma rappresenterà per lei anche una sorta di esame di riparazione, dopo il clamore suscitato dai fuorionda ad Affari tuoi trasmessi da Striscia in cui si infuriava con i concorrenti.. 
«Ricorda Robert De Niro in Mission, quando, per scontare il delitto di cui s’è macchiato, trascina su per un monte una rete colma di macigni? Ecco: oggi io mi sento come Robert de Niro. Sto scontando. Voglio scontare. Ma penso anche al personaggio di Jeremy Irons, che osservando la scena commenta: Lasciatelo fare. Deve decidere lui quando avrà finito di scontare». 
E lei, quando finirà di trascinare i suoi macigni?
«Di quel che ho fatto non mi sono ancora perdonato. Non riesco ancora a sentirmi sereno; quindi capisco quella parte del pubblico che neppure riesce ad esserlo, nei miei confronti. Chiedo solo di darmi del tempo. Cosa posso ancora dire a mia difesa? Forse che quando si denuncia qualcuno, bisognerebbe almeno farlo nel modo meno cattivo e distruttivo possibile». 
Quanti suoi colleghi hanno continuato a giudicarla, senza nemmeno darle il tempo di scontare?
«Posso nominare solo quelli che non m’hanno giudicato affatto. Carlo Conti e – guarda caso – Fabrizio Frizzi. Da veri amici hanno ascoltato le mie ragioni, compreso il mio errore, evitato di gettarmi le croce addosso. Spero che il tempo finisca per aggiustare tutto»
Morale: una volta tanto il titolo di un programma leggero può anche rivelarsi seriamente profetico.
«Sa chi me l’insegnò, tanto tempo fa? Gigi Proietti. Venticinque anni addietro ero suo allievo nella sua scuola di teatro. Attento alle battute che dici mi sussurrò – Attento: possono diventare vere».