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 2018  luglio 16 Lunedì calendario

In morte di Franco Mandelli

Testardo, autorevole nel comandare, ostinato a superare tutti gli ostacoli. Non di rado burbero e tagliente. Tenero, pacato e capace di ascoltare quando era davanti al paziente. Che fosse un adulto o un bambino. Franco Mandelli, 87 anni bergamasco maestro dell’ematologia moderna, riusciva ad essere ostico e assolutamente amorevole nella sua vita. È scomparso ieri in una Roma afosa e deserta. 
L’annuncio della morte su Facebook. A darlo i suoi volontari, quasi 25 mila, della sua Ail, l’Associazione italiana contro le leucemie che ha fondato alla fine degli anni Sessanta. Quando, dopo un periodo di studi a Parigi, ha iniziato a rivoluzionare il Centro di ematologia del Policlinico Umberto I a via Benevento. Il suo quartier generale. Dove lavorava, meglio dire lottava, contro leucemie, linfomi e mielomi. Malattie che mietevano vittime, che piombavano nelle famiglie togliendo respiro e speranza.
GLI STUDI
Ha dedicato la sua vita a far luce dove regnava solo il buio, a sperimentare anche quando veniva attaccato, a non mollare. Franco Mandelli aveva un sogno. E, temendo di non essere capito nel modo giusto, ce lo ha raccontato in un libro: Ho sognato un mondo senza cancro. Per questo ha lavorato, si è battuto, ha faticato e stretto i denti lungo tutta la sua vita. Non gli ha mai fatto difetto la parola. Né nel raccontare i successi della medicina né nel ricostruire la strada che ha percorso. Dagli oltre 750 studi scientifici che ha firmato, agli incontri con i pazienti, alle paure, al dolore, ai fallimenti, ai successi. Alla creazione a Roma, nel 1982, il primo centro pubblico per il trapianto di midollo osseo. Tutt’oggi centro di eccellenza.
«Quando iniziai ad occuparmi di malattie del sangue nei primi anni Sessanta – raccontava il fondatore del Gimema, Gruppo italiano di studio per le malattie ematologiche dell’adulto – in tanti mi chiesero come facevo a dedicarmi ad una specializzazione che regalava solo risultati drammatici. Ora, invece, la leucemia acuta nel bambino si cura nell’80% dei casi, nell’adulto nel 50% dei casi e i linfomi riusciamo a batterli quasi nell’80% dei pazienti. Lo dico ancora meglio, otto pazienti su dieci guariscono grazie alle nuove terapie».
I COLLEGHI
Diceva di aver dovuto guerreggiare per convincere capi e colleghi che si poteva vincere. Non nascondeva neppure le paure che gli hanno tenuto compagnia. «Tanti dubbi, ogni volta che facevo il controllo del midollo di un paziente. I dubbi sono sempre stati con me». Non ha mai perso la forza e l’ostinazione. Né mai ha perso la voglia di coniugare medicina e solidarietà. A marzo scorso ha voluto presentare di nuovo un suo manifesto, un manuale guida destinato alle nuove generazioni di medici e infermieri. Il libro Curare è prendersi cura. La scelta che fece quando decise di indossare il camice, negli anni, è diventata la scelta dei volontari dell’Ail. Che si sono fatti carico della burocrazia, dei mille impedimenti, della mancanza di fondi anche per mettere su alloggi destinati ai genitori dei bambini ricoverati. 
Strappargli una risata non era facile. Ma, quando poco più di dieci anni fa, spiegava per la prima volta l’importanza di far andare in barca a vela Ail i bambini e i ragazzi pazienti, mostrò, a sorpresa, tutta la sua voglia di sorridere e far sorridere. Per una grande idea. Anche quest’anno, dal 4 al 21 giugno, l’imbarcazione ha navigato nel mar Adriatico. Obiettivo: diffondere la vela-terapia per la riabilitazione psicologica e il miglioramento della qualità della vita dei pazienti ematologici. L’equipaggio: pazienti, medici, infermieri, psicologi e skipper. Sembra di sentirli: «Ciao, prof!».