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 2018  giugno 21 Giovedì calendario

Intervista a Lara, la moglie di Massimo Bottura

«Vieni sul palco con me?». Martedì sera a Bilbao, in quell’attimo in cui suo marito Massimo Bottura ha realizzato di essere, di nuovo, il primo chef del mondo secondo la classifica dei «World’s 50 Best Restaurants», glielo ha sussurrato all’orecchio. E lei ha capito che si trattava di una richiesta d’aiuto. «L’ho guardato, era emozionatissimo e lungo la strada mi ha detto “Parli prima tu?”».
Il resto lo abbiamo visto tutti: Bottura che dice, in italiano, «Che devo fare?» mentre Lara Gilmore, 50 anni, newyorchese trasferita a Modena per amore, afferra il microfono e inizia il suo discorso.
Si dice che senza di lei Massimo Bottura non sarebbe Massimo Bottura. È vero?
«Sicuramente ho messo del mio in tutto quello che abbiamo fatto insieme. Quando ci siamo conosciuti, venticinque anni fa a New York, io avevo studiato storia dell’arte e cercavo un lavoro part time, lui era uno chef in anno sabbatico. Con la mia passione per la pittura ho portato un mondo parallelo nella sua vita. E negli anni lui è diventato un grande collezionista di opere, che gli hanno aperto lo sguardo in cucina: non tanto per riprodurre un quadro in un piatto, piuttosto per pensare in modo concettuale, per vedere il mondo con occhi diversi».
Lei è anche la comunicatrice della coppia. I contatti con la stampa internazionale, il racconto dell’Osteria Francescana, la scrittura dei libri… Quanto il ristorante e i risultati di oggi sono suoi?
«Massimo mi ha chiesto di sposarlo il giorno in cui ha aperto la Francescana. Era l’aprile del 1995, io ero a New York per problemi familiari. Lui mi ha fatto la proposta al telefono. In quel momento ho capito che non avrei sposato solo lui ma anche il ristorante. E in effetti ci sentiamo entrambi la madre e il padre dell’Osteria, oltre che la madre e il padre dei nostri figli Alexa, 21 anni, e Charlie, 17. Io ho cominciato nel 2000 a lavorare in ufficio, a mandare mail ai giornalisti, a costruire la prima narrativa dei piatti. Non mi è mai pesato, la Francescana è un pezzo di me».
A proposito, chi cucina a casa, con uno chef tre stelle Michelin e numero uno al mondo come marito?
«Cucino io, Massimo lo fa solo quando siamo in vacanza perché la maggior parte del tempo lo trascorre al ristorante. Ma per il mio minestrone è capace di mollare tutto, gli piace da morire».
È severo?
«Sì, mi dice sempre che uso poco sale, che faccio confusione con le erbe aromatiche e che il risotto lo potrei cuocere di meno. Ma io sono contenta quando mi critica, così imparo». 
Non litigate mai?
«Discutiamo su tutto, anche sugli alberi da piantare in giardino. Ma il divertimento sta lì, sta nel confronto, nelle visioni diverse che si arricchiscono l’una con l’altra. Una persona uguale a te non aggiungerebbe niente. E comunque anche io sono difficile con lui: quando mi racconta un progetto che non mi convince lo obbligo a spiegarmelo bene».
Gli ha già bocciato qualcosa?
«Più che altro avrei rimandato. Per esempio l’idea dei Refettori, le mense sociali che stanno aprendo in tutto il mondo, per me era prematura. Era il 2013, avevamo appena raggiunto le tre stelle Michelin, perché complicarci la vita? Ma Massimo è più coraggioso di me, ha insistito, e aveva ragione. Ora sono la presidente della onlus che le gestisce, Food for Soul, e non vedo l’ora di aprire la prima bottega del Tortellante, il progetto che dà lavoro, in cucina, ai ragazzi autistici».
C’è il suo zampino anche dietro il look: la barba, le scarpe?
«Assolutamente no, Massimo è sempre stato un dandy, per un periodo si vestiva anche di pizzo. Io quella barba gliela farei tagliare...».