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 2018  giugno 13 Mercoledì calendario

L’«incrocio pericoloso» che aspetta l’Italia in autunno

Se gli ultimi due Governi hanno navigato con il vento dell’economia globale e delle politiche monetarie in poppa, il neonato Esecutivo Conte rischia di trovare sul cammino vento internazionale contrario. Perché l’economia globale rallenta, le politiche monetarie si fanno più restrittive e le tensioni commerciali potrebbero peggiorare la situazione. Per ora lo scenario internazionale è ancora favorevole, sebbene meno tonico rispetto a quanto non apparisse a inizio anno, ma le nubi all’orizzonte si stanno addensando. Il vento potrebbe insomma presto cambiare. Mettendo – dall’esterno – una difficoltà in più sul futuro dell’Italia.
1) Rallentamento europeo 
A inizio 2018 tutti gli economisti prevedevano per l’anno in corso una crescita economica sincronizzata globale. Ma a sei mesi di distanza, le previsioni sono ben diverse. Proprio ieri uno studio di Nomura (intitolato «Desincronizzazione della crescita globale») ha dato l’ennesima conferma. «Le prospettive sono un po’ peggiorate negli ultimi tempi», scrivono Andrew Cates e Rob Subbarman. Tre sono i motivi secondo loro: il protezionismo, l’aumento dell’inflazione e le delicate fasi politiche in Italia, Turchia, Brasile e Messico. Ma non sono solo gli economisti di Nomura a pensarla così: sono i dati congiunturali a indicare una frenata.
Purtroppo la parte del mondo che più rallenta è proprio l’Europa, dove gli indicatori congiunturali continuano a deludere. Le previsioni medie sul Pil 2018 di 31 istituti di ricerca, censiti da Consensus Forecast, rispetto a un mese fa sono calate in Francia (da 2,1% a 1,9%), in Germania (da 2,4% a 2,3%) e in Gran Bretagna (da 1,5% a 1,4%). In media la crescita economica dell’area euro è prevista nel 2018 a +2,3%, contro il +2,4% stimato solo un mese fa. «Tutti si interrogano se questo rallentamento sia strutturale o momentaneo, come pensa la Bce – osserva Luca Mezzomo, economista di Intesa Sanpaolo -. Una risposta ancora non c’è. Noto però che anche i dati di aprile hanno deluso le aspettative e quelli di maggio non si preannunciano forti». Il rischio che ci sia qualcosa di strutturale, dunque, c’è. È presto per dirlo. Di certo questo non aiuta l’Italia.
2) Addio stimoli monetari 
Anche perché la Bce si appresta probabilmente a chiudere la stagione dei grandi stimoli monetari. Sul mercato – secondo un sondaggio Reuters – l’80% degli economisti è convinto che domani Mario Draghi annuncerà la fine del «quantitative easing» a dicembre. La stampella che ha sostenuto l’Europa negli ultimi anni potrebbe dunque venire meno. E non si tratta di una stampella da poco. Uno studio della stessa Bce, realizzato per capire l’effetto del quantitative easing sul Pil, parla chiaro: «L’impatto – si legge – è stato significativo sia sul Pil sia sull’inflazione». Ma soprattutto il «quantitative easing» ha reso più accessibile e meno costoso il credito alle imprese. Se ora viene meno, l’Europa dovrà dunque camminare con le proprie gambe. Italia inclusa.
3) Incognita Usa 
Il problema è che diventano più restrittive anche le politiche monetarie in altri Paesi. La Fed proprio oggi dovrebbe alzare i tassi Usa a 1,75-2%. Questo, se oggi è giustificato da una crescita solida, potrebbe creare qualche problema in futuro a causa del gigantesco debito che pesa sulle spalle delle famiglie Usa. Alcuni dati, raccolti da Maurizio Novelli di Lemanik Global, parlano da soli: oggi il 27% dei consumatori americani, il 20% dei finanziamenti per comprare automobili e 73 milioni di carte di credito sono catalogati «subprime». Cioè poco affidabili. Questo in un Paese dove il solo debito al consumo è cresciuto del 45% (a 3.840 miliardi di dollari) dal 2008 non promette bene.
C’è poi un’altra nube negli Usa: la politica fiscale voluta da Trump. «Il tempismo degli stimoli fiscali ha caricato la fase matura del ciclo economico – osserva Mezzomo -. Il rischio è che l’effetto positivo si scarichi sul 2018, venendo meno nel 2019-20 quando invece i consumi potrebbero calare». Non pochi economisti prevedono un rallentamento, o una recessione Usa, tra 2019 e 2020. Per l’Italia non sarebbe certo un bene.
4) La guerra dei dazi 
C’è poi un’altra incognita, per ora potenziale: un’eventuale escalation della guerra commerciale tra Usa ed Europa. I dazi per ora introdotti non hanno un grande impatto negativo sull’economia. Ma se scoppiasse una vera guerra commerciale, con dazi e contro-dazi, allora un impatto potrebbe esserci. Stima la Sace che nel peggiore degli scenari (che ha una probabilità bassa di realizzarsi) l’economia globale potrebbe perdere 0,5 punti percentuali e quella italiana 0,9 nel 2018 e 0,6 nel 2019. Ovviamente si tratta di stime su scenari ancora non esistenti. Ma anche questo è uno dei venti che – speriamo di no – potrebbero un giorno soffiare contro l’Italia. Mettendo ulteriormente alla prova l’azione del Governo.