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 2018  maggio 23 Mercoledì calendario

Breve storia del debito pubblico italiano

Certo, l’alleanza fra Luigi Di Maio e Matteo Salvini non è naturale: si sono scontrati in tutta la campagna elettorale. I due non sono espertissimi di governo? Vero. Unire i loro programmi è pura utopia? Ci sono delle ragioni per pensarlo. Così come è vero che gran parte dei protagonisti dell’accordo sono alle prime armi: mai entrati in un ministero nella loro vita, mai conosciuti i meccanismi segreti dello Stato. Tutto verissimo. Però, prima di loro, quanti esperti sono passati da quelle parti? Quanti professionisti della politica? E quali prove hanno dato di sé, quali risultati hanno portato a casa? La risposta è semplice: nella seconda repubblica si sono alternati via via esponenti politici alle primissime armi (come Silvio Berlusconi nel 1994), vecchie volpi di palazzo riciclatesi per l’occasione (era il caso di Romano Prodi nel 1996), espertoni arrivati dalla Banca di Italia, tecnici dal lungo curriculum, professoroni omaggiati in tutto il modo (Mario Monti), politici rodati come Enrico Letta e Paolo Gentiloni, amministratori che si sono fatti le ossa negli enti locali come Matteo Renzi. FALLIMENTO CONTINUO E tutti, proprio tutti nessuno escluso portano sulle spalle il peso di un fallimento continuo, con una caratteristica: nessuno è riuscito a realizzare quello che aveva promesso o che si era proposto, e ognuno di loro in serie ha fatto peggio del predecessore. E vista l’esperienza maturata in un quarto di secolo è davvero difficile pensare che chi verrà dopo – chiunque esso sia – possa causare sconvolgimenti o fare precipitare l’Italia in guai così diversi da quelli che ha passato. METEORA Ecco in rassegna questi 25 anni. Primo governo di Berlusconi: non pervenuto, visto che è durato lo spazio di qualche mese affondato sul nascere dai magistrati e dalla Lega Nord di Umberto Bossi. Senza essere riuscito a fare nulla, però ha portato con sé un aumento del debito pubblico di 130 miliardi di euro. Passato come una meteora l’annetto di Lamberto Dini, è iniziata l’era dei governi di centrosinistra, quelli guidati da Romano Prodi, Massimo D’Alema e Giuliano Amato. All’Italia hanno regalato l’euro e soprattutto un cambio suicida con la lira, un colpo da ko: da venti anni cerchiamo di riprenderci da quella sciagura, ma non ci riusciamo. Fino al loro momento l’Italia era sempre fra i primi dieci paesi d’Europa per risultati annuali. Da quel momento in poi è scivolata stabilmente sotto il 20° posto. L’era di Prodi & c per altro ha regalato ai conti italiani altri 126 miliardi di euro di aumento del debito pubblico. È arrivato così il Berlusconi del contratto con gli italiani e del “meno tasse per tutti”. In quel documento c’è la prima promessa di flat tax: due sole aliquote Irpef, come nel piano Salvini-Di Maio, ma più prudenti: 33% sopra i 100 mila euro, e 23% sotto. Alla fine dei 5 anni le aliquote sono state ridotte da 5 a 4, e la flat tax non è mai stata realizzata: sopra i 100 mila euro si pagavano 10 punti più di quanto promesso e sopra i 33.500 euro si pagavano ben 16 punti Irpef più di quanto promesso. Un insuccesso completo. Anche in quei 5 anni il debito pubblico è cresciuto di 98 miliardi di euro. Ancora Prodi con un po’ di tecnici intorno e Vincenzo Visco Dracula alle Finanze. È durato poco, ma in quel poco è riuscito a mettere 100 tasse in più, a pasticciare con detrazioni e deduzioni fiscali così da tassare più di prima perfino quelli che si voleva beneficiare (chi guadagnava intorno ai mille euro al mese). Il governo fu un flop in poco più di un anno, ma portò con sé altri 76 miliardi di debito pubblico. IL GOLPE DELLO SPREAD Toccò di nuovo a Berlusconi, e sembrava la volta buona: partito lanciatissimo nei primi 100 giorni, cascò sia sulle vicende personali che sulla finanza pubblica: in tre anni fece aumentare il debito pubblico di 295 milioni di euro, e fu sbalzato di sella dai mercati e dai potenti di Europa. Ricordate il “golpe dello spread”, contro cui lui e i suoi a cominciare da Renato Brunetta hanno tuonato per anni in modo fin ossessivo? Ecco, sorprende vederli tutti in coro oggi invocare spread e mercati per sbarrare la strada a Salvini e Di Maio. Ed eccoci all’era dell’espertissimo Mario Monti e della sua superministra, la tecnica Elsa Fornero, quella che ha fatto più errori tecnici con la sua riforma delle pensioni (gli esodati) di qualsiasi studentello alle prime armi: studiava quel provvedimento da anni, lo insegnava ai colti e agli incliti, e l’ha clamorosamente sbagliato. In pochi mesi fa aumentare il debito pubblico di 113 miliardi di euro (era lì per fermarlo) e consegna un’Italia al 22° posto su 28 paesi europei. Arrivano Enrico Letta e Fabrizio Saccomanni, durati solo otto mesi e passati alla storia per un paio di provvedimenti pensati solo per le banche e che per altro si sono rivelati inutili, visto che subito dopo sono scoppiate le crisi di Mps, delle popolari e delle venete. Otto mesi e 71 miliardi di euro di debito pubblico in più. Alla fine Italia al 23° posto, una posizione sotto quella di Monti. LO SPAURACCHIO È toccato all’effervescente Matteo Renzi, dalle ricette miracolose con il suo ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, e accompagnato dalla gran esperta di banche Maria Elena Boschi. Non uno dei provvedimenti varati (80 euro, job act, velocizzazione pagamenti pa) ha avuto successo né in quei tre anni né nell’anno successivo con Paolo Gentiloni alla guida. Hanno preso in mano un’Italia al 23° posto in Europa e oggi la consegnano ai successori al 28° posto, l’ultimo della classifica. Con Renzi il debito pubblico è cresciuto di 149 miliardi di euro, con Gentiloni di altri 83 miliardi. Negli ultimi dieci anni il debito pubblico è aumentato di 720 miliardi di euro e il Pil è cresciuto di appena 287 miliardi: un disastro in piena regola, lo specchio di tutti i guai di questo paese. Difficile fare peggio: bisogna mettersi davvero di impegno. Di certo i nuovi per chi ha la pelle indurita da questi 20 anni e più non sono uno spauracchio. riproduzione riservata