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 2018  maggio 22 Martedì calendario

Italia a Hollywood L’arte del calzolaio che stregò le stelle

La stagione americana di Salvatore Ferragamo raccontata da opere d’arte, frammenti di film, foto, scarpe e abiti: una metafora della storia del cinema e di quella dell’emigrazione. A Firenze da venerdi al 10 marzo 2019
Napoli, 1915. In mano un biglietto di terza classe, un po’ come gli emigranti di Nuovomondo (2006) di Emanuele Crialese, il quindicenne Salvatore Ferragamo si imbarca sulla Stampalia alla volta del Nord America per raggiungere i fratelli maggiori. «Appena il piroscafo entrò nel porto di New York dimenticai i miei guai», scrive nelle sue memorie ( Shoemaker of Dreams, 1957).
«Dimenticai che avevo solo sei lire invece di cento. Guardai gli edifici e desiderai ardentemente arrampicarmi sul tetto di uno di essi. Poiché non sapevo niente sugli ascensori, mi immaginavo che si dovesse salire a piedi fino in cima. Tutto mi appariva nuovo, immenso, impressionante. Istintivamente sentivo che era un paese nel quale avrei potuto trovarmi bene come a casa mia». Così è stato, visto che in America, dove rimase per 12 anni, fino al 1927, costruì la sua fortuna. A partire dal 25 maggio, gli anni americani di Salvatore Ferragamo verranno celebrati da una mostra: L’Italia a Hollywood (fino al 10 marzo 2019 a Firenze; catalogo a cura di Stefania Ricci, Skira, pp.480, 60 euro).
Prendendo spunto da una parentesi della vita del grande calzolaio, l’esposizione è una lente d’ingrandimento sul fenomeno migratorio e sull’influenza esercitata dalla cultura italiana in California.
Come fosse il set di un film, la vita di Ferragamo verrà ripercorsa, a partire dal suo arrivo negli Stati Uniti quando (per pochissimo) fu impiegato alla Queen Quality Shoe Company, nota fabbrica di scarpe di Boston. Ma la catena di montaggio non faceva per lui: «Tutto quello che sapevo fare le macchine lo facevano in un batter d’occhio, ero inorridito. Mi dissi: no! non voglio lavorare qui. Non avrò mai a che fare con le scarpe fatte a macchina, mai».
Fu così che il giovane Salvatore decise di trasferirsi in California, a Santa Barbara. Lì cominciò a creare scarpe per l’American Film Company. Se all’inizio si specializzò nella realizzazione di stivali per i western, passò poi alle attrici e alla realizzazione di scarpe per film storici in costume.
Più tardi, nel 1923, si trasferì a Hollywood. Lì aprì l’Hollywood Boot Shop, divenuto presto meta di stelle del cinema come Pola Negri, Joan Crawford, Lilian Gish e Charlie Chaplin. Di quei tempi scrisse: «Mi sembra di intravedere un parallelo tra l’industria cinematografica e la mia attività. Quando le major superarono la fase iniziale per ingrandirsi e crescere, il mio negozio seguì la stessa traiettoria».
A di là dell’attività di Ferragamo, attraverso opere d’arte, spezzoni di film, fotografie, scarpe e abiti, la mostra – che si apre con Emigrati (1894) un grande dipinto di Raffaele Gambogi che ritrae una famiglia italiana sulla banchina di un porto, in attesa di imbarcarsi per il Nuovo Mondo – si sofferma sull’influenza che la nostra cultura ha avuto in quella parte del Nord America.
Una sezione verrà dedicata alla straordinaria presenza scenica di italiani come il grande tenore Enrico Caruso e Tina Modotti, Rodolfo Valentino, con cui nacque il moderno divismo, e la bellissima Lina Cavalieri, presente attraverso una quarantina dei circa trecento ritratti che le fece Piero Fornasetti. Verrà poi esaminato l’influsso di film italiani, come Gli ultimi giorni di Pompei, (1913), Quo Vadis (1913) Caius Julius Caesar (1914) e soprattutto Cabiria, sul cinema hollywoodiano. Quest’ultimo, grandioso kolossal di Giovanni Pastrone con soggetto di Gabriele D’Annunzio – che all’epoca della sua uscita venne reclamizzato come “the daddy of spectacles” – sarebbe poi stato citato in più di un capolavoro del genere, da Intolerance di David Wark Griffith a Metropolis (1927) di Fritz Lang, fino a I dieci comandamenti (1923) di De Mille.
Accanto al mondo del cinema, l’esposizione esplorerà quello dell’arte e dell’artigianato, attraverso la partecipazione italiana alla Esposizione Internazionale di San Francisco (Panama–Pacific International Exposition) organizzata nel 1915 per festeggiare l’imminente apertura del Canale di Panama. L’Italia affidò la progettazione e la realizzazione del proprio padiglione all’architetto Marcello Piacentini che ebbe il primo premio tra oltre 110 costruzioni concorrenti. Oltre a protagonisti del nostro cinema, parteciparono all’Expo artisti come Ettore Tito, Onorato Carlandi, diversi esponenti del movimento futurista e una pioniera dello stile italiano: Maria Gallenga, sarta-artista e disegnatrice di tessuti che ottenne il Grand Prix per l’originalità delle sue creazioni. Come tutti questi artisti, Salvatore si appropriò allora di quegli orizzonti sconfinati. «Nuovi modelli, nuovi disegni», ricorda «mi ballavano nella mente. Sentivo il bisogno prepotente di realizzarli in inediti, esotici, affascinanti materiali che, lo immaginavo, questo vasto paese mi avrebbe offerto». E gli anni di Hollywood divennero il trampolino per il suo fulgido futuro.