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 2018  maggio 22 Martedì calendario

Che faranno le agenzie di rating con il debito italiano

Quando è uscita la nota di Fitch ieri erano le nove di mattina a New York e il rendimento dei titoli di Stato italiani in scadenza nel 2028 era del 2,30 all’anno. Due ore e mezzo dopo era già schizzato al 2,42%: il massimo dall’ottobre 2014, prima che la Banca centrale europea decidesse di comprare migliaia di miliardi in bond emessi dai governi dell’area euro. In questo senso, gli ultimi giorni hanno già rimesso in gioco per l’Italia buona parte del terreno conquistato per anni grazie alla Bce.
La nota di Fitch ha trasmesso una scossa perché ha ricordato a tutti le perplessità già diffuse fra gli investitori. «Le misure proposte per aumentare il gettito (del bilancio pubblico, ndr) non coprirebbero gli impegni di spesa – si legge – e il programma è incoerente con l’obiettivo affermato dal governo entrante di ridurre il debito». A queste parole dell’agenzia di rating, il cui compito è valutare la capacità di un governo o di un’impresa di ripagare i propri debiti, ha reagito anche la Borsa: l’indice Ftse-Mib ha in pochi minuti perso 200 punti per chiudere in rosso dell’1,54%, ancora una volta la peggiore d’Europa.
La lezione è dunque che le agenzie di rating restano influenti, anche per ragioni di cui l’intera classe politica italiana non sembra accorgersi. Eppure dai giudizi di quattro di loro – S&P, Moody’s, la stessa Fitch e Dbrs – dipendono alcune funzioni vitali del Paese. È proprio per questo che presto il ruolo dei rating potrebbe diventare decisivo per il futuro del governo e dell’economia italiana. Nel bene o nel male.
Ciò che la politica italiana non sembra notare è che la Bce usa le valutazioni espresse dai quattro enti privati – S&P, Moody’s, Fitch e Dbrs – nelle le proprie attività più importanti: gli acquisti di titoli di Stato, iniziati a marzo 2015 e forse destinati a finire il prossimo dicembre; ma soprattutto le aste per la fornitura di liquidità per centinaia di miliardi ogni mese che permettono alle banche e ai Paesi europei di funzionare. È ciò che permette alle banche di sbrigare i pagamenti per la clientela e di tenere i bancomat riforniti di biglietti in euro. Nell’area della moneta unica queste forniture di liquidità sono possibili senza intoppi solo a favore di Paesi che abbiano un rating rassicurante: al cosiddetto livello «investimento», dato che la Bce non intende prendere in carico titoli di Stato pericolosi perché classificati a livello «speculativo» (o «spazzatura»). In ogni caso, per la banca centrale vale sempre il rating più alto fra le quattro agenzie.
Ciò garantisce l’Italia, ma con margini ristretti. Per S&P, Moody’s e Fitch, il rating del Paese è appena a due gradini dal livello «spazzatura», per Dbrs a tre. Moody’s deciderà il 7 settembre se e come cambiare valutazione ma intanto all’Italia ha già assegnato «prospettive negative» (è orientata a un taglio del rating), avvertendo che agirà se il debito non scende in fretta. Il declassamento dunque sembra a un passo. Dbrs deciderà il 13 luglio, Fitch il 31 agosto e S&P in ottobre. Tutte queste agenzie hanno già spiegato che un aumento del deficit e del debito sarebbero fattori molto negativi per i rating.
Se arrivasse una nuova ondata di declassamenti a causa dei piani di deficit del nuovo governo, l’Italia si ritroverebbe sulla soglia di uscita dal livello «investimento». Le banche sarebbero al limite di non poter più prendere prestiti dalla Bce offrendo titoli italiani in garanzia e lo spread esploderebbe. Se poi l’Italia finisse tagliata fuori dalle aste di Francoforte, il solo modo per essere riammessa sarebbe accettare un programma della trojka per accedere di nuovo alla liquidità in euro. Ma M5S e Lega sarebbero disposti a firmarlo?