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 2018  maggio 20 Domenica calendario

Là dove c’era guerra adesso c’è una fiaba

Il mio ultimo libro è nato da una serie di circostanze eccezionali e ha una storia che credo valga la pena di raccontare. L’estate scorsa, di ritorno da un cammino da Parigi a Berlino, ho trovato ad attendermi una lunga lettera, una di quelle lettere che ogni scrittore desidererebbe ricevere nella propria vita, che danno l’idea di come si può muovere a volte la letteratura: per incontri imprevedibili e apparentemente impossibili, per improvvisi incroci di orbite, per allineamenti astrali, per affinità elettive e per inaspettati gesti di elezione.
In questa lettera, Pasquale La Forgia di Rizzoli Lizard mi raccontava cosa era successo a mia insaputa mentre camminavo con lo zaino in spalla lungo strade e sentieri della Francia e della Germania, in mezzo alle foreste di abeti rossi della Bassa Sassonia, sotto un diluvio di pioggia. Era successo questo. Durante il festival del fumetto che si tiene ogni anno a Lucca, una disegnatrice serba che vive in Canada gli aveva parlato per tutto il tempo del libro di uno scrittore italiano che aveva letto da poco e che l’aveva conquistata ed emozionata in modo particolare. Questa disegnatrice era Nina Bunjevac, di cui Rizzoli Lizard aveva pubblicato un formidabile libro intitolato Fatherland, nel quale si racconta attraverso immagini di grande concentrazione corporea e potenza la tragedia delle guerre balcaniche e la vicenda personale dell’autrice, della sua famiglia e del proprio padre, un terrorista serbo saltato in aria nell’esplosione della bomba che stava fabbricando insieme ad altri due uomini. Quello scrittore italiano ero io e quel libro era La lucina, che lei, per un’imprevedibile serie di triangolazioni e passaparola, aveva intercettato in inglese, in un’edizione uscita neppure in Canada ma negli Stati Uniti, presso un piccolo editore di New York.
Insomma, dall’altra parte dell’oceano e del mondo una persona sulla cui vita la grande storia era passata come un carrarmato e che ne portava su di sé le ferite aveva letto la piccola storia dell’incontro tra due persone ferite, o tra le due metà della stessa persona ferita a morte. Nina aveva tenuto tra le mani e aveva saputo leggere e comprendere il messaggio che avevo messo in una bottiglia e lanciato in mare. La sua conclusione era che voleva assolutamente illustrare un libro di questo scrittore italiano. Io sono rimasto spiazzato e perplesso, avevo già anche troppe cose in cantiere e non mi sembrava proprio di potercela fare. Poi mi è venuta l’idea di scrivere un libro per la mia nipotina Bianca, come ne avevo scritto a suo tempo uno per mia figlia Maria, e così ho cominciato a fantasticarlo nella mia mente. È la storia di un nonno che va ogni mattina a prendere la nipotina a scuola, solo che lei è l’unica a vederlo perché lui è morto.
Un po’ di tempo dopo ho incontrato Nina Bunjevac, il deus ex machina di tutta questa storia. Ci siamo incontrati a Venezia e, nonostante la mia penosa incapacità di parlare altra lingua che non sia l’italiano, ci siamo riconosciuti e capiti immediatamente attraverso l’esultanza personale e corporea e l’esplosione dei gesti. Abbiamo mangiato insieme, in un vicolo stretto come una feritoia. Nina mi ha parlato della commozione con cui aveva letto il mio libro e delle sue lacrime, di come quest’uomo che si ritira in un borgo disabitato le fosse sembrato il reduce da un’atroce guerra. Mi ha detto che le era successo solo un’altra volta di rimanere così colpita da una lettura, e che quella lettura era un altro romanzo breve: Cuore di cane di Bulgakov. Insomma, non lo so che cosa è successo tra noi, quale corrente si è scatenata, ma è stata evidentemente irradiante.
Mi sono sprofondato in questo romanzo per bambini grandi e per grandi bambini e l’ho scritto con ispirazione e abbandono, mettendoci dentro tutta la mia passione, la mia terribile malinconia ma anche tutta la mia disperata e scatenata comicità e allegria. Dopo che l’ho finito, quelli della casa editrice ne hanno fatto fare una traduzione di servizio per Nina. La prima cosa che lei ha detto è stata che se qualcuno avesse scritto per lei una cosa simile e lei l’avesse letta quando aveva la stessa età della protagonista di questa storia avrebbe portato con sé il libro per tutta la vita, anche se era ormai logoro e a pezzi per le continue riletture. Ha cominciato a lavorare sulle illustrazioni. L’editore mi mandava via via le tavole che riceveva, e io potevo vedere le immagini potenti e piene di poesia e bellezza che lei ricavava e inventava dal mio racconto, con quel suo inconfondibile tratto nello stesso tempo elaboratissimo ed elementare, frutto di una dedizione e di una perizia grafica che hanno pochi eguali, dove ogni particolare spicca e risalta come nelle miniature sacre, in cui si fondono peso corporeo e slancio immobilizzato, fissità e movimento, racconto ed emblema, l’iconografia bizantina e quella del socialismo reale. Ecco, è nato così questo libro che non era previsto che ci fosse e invece c’è, che una disegnatrice passata attraverso un macello di corpi e di menti avvenuto nel vecchio continente alla fine del ’900 e finita in un altro continente, come una levatrice, ha tirato fuori dalle mie viscere e che poi ha anche vestito con abiti principeschi prima di mandarlo nel mondo. ?