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 2018  aprile 25 Mercoledì calendario

Ci vuole troppa energia per creare criptovalute

L’energia che se ne va in criptovalute
La capacità computazionale complessiva per le attività legate alla criptovalute è pari a quasi 900mila petaflop a livello globale. Tenendo conto che un petaflop è pari a un milione di miliardi di operazioni al secondo, si capisce che siamo nell’ordine di grandezze difficilmente immaginabili. Ma soprattutto valori che ci lasciano intuire come il sistema delle criptovalute abbia anche un aspetto “fisico”, tutt’altro che virtuale: tradotta in energia, quella capacità computazionale si materializza in un consumo annuo pari a quasi 62 TWh, il che significa, stando alle stime di Digiconomist, più o meno pari al consumo energetico annuo di paesi come la Repubblica Ceca o l’Irlanda e all’incirca un quinto di quello dell’Italia.
Il volto fisico del bitcoin e delle altre criptovalute è fatto di enormi server farm occupati nel mining, che è qualcosa di simile all’estrazione di questo nuovo oro digitale. Il mining è il processo di decentralizzazione che è alla base della certificazione delle transazioni del criptomondo. Una serie ci computer in tutto il mondo sono in continua concorrenza ogni giorno, sette giorni su sette, 365 giorni l’anno, per risolvere complessi enigmi e risolvere codici alfanumerici con l’obiettivo di mettere le mani su un “blocco” digitale da aggiungere alla blockchain, la catenma dei blocchi che è replicata uguale in tutti i nodi della rete. Un nuovo blocco può essere minato ogni dieci minuti e rappresenta per il “minatore” un valore di 12,5 bitcoin, il che significa, ancora oggi che la criptovaluta piu famosa ha perso più del 50% dai massimi di dicembre, un gruzzoletto da oltre 110mila dollari.
Lo sanno bene in Islanda dove le criptovalute stanno cambiando volto all’economia. E ponendo sfide di non poco conto, dal momento che il mining digitale potrebbe raddoppiare quest’anno i consumi energetici a circa 100 megawatt, superando nei fatti la quantità di energia consumata dai 340mila islandesi per il loro fabbisogno quotidiano. D’altra parte sono evidenti i motivi per cui l’isola sia stata scelta come base privilegiata dai mining pool, anche da quelli che hanno dovuto lasciare quest’anno la Cina dopo il bando delle autorità di Pechino. La geotermia e l’idroelettrico garantiscono un prezzo all’ingrosso tra i più bassi al mondo e l’aria artica riduce drasticamente il fabbisogno di raffreddamento degli impianti. Il che si traduce alla fin fine in maggior redditività per i “miners”.
Anche il Quebec offre tariffe molto basse. Le fonti idroelettriche coprono il 97% della produzione della regione canadese, garantendo un prezzo di 2,5 cent per kWh per i datacenter che salgono a poco meno di 4 per le attività di mining. Ma la corsa all’oro ha fatto scattare l’allarme rosso dal punto di vista energetico e il Quebec ha deciso recentemente di bloccare l’autorizzazione a nuove operazioni di mining. 
Il sistema competitivo che è alla base della blockchain del bitcoin per la validazione del singolo blocco si basa sulla cosiddetta “proof of work”: la gara continua tra i miner per la soluzione di stringhe di almeno 27 caratteri alfanumerici richiede un enorme “lavoro” in contemporanea di datacenter in concorrenza uno con l’altro. Ma si sperimentano altri sistemi per evitare il mining di questo genere. Eos è, per esempio, una criptovaluta che si basa su uno schema di “proof of stake”: ogni minatore ha a disposizione un voto per ogni valuta che possiede e la produzione dei blocchi si basa su una votazione a maggioranza. E la collaborazione ha bisogno di molta meno energia.