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 2018  aprile 25 Mercoledì calendario

L’ossessione narrativa per l’impeachment nelle serie Usa

Chiamiamola ossessione narrativa. Chiamiamola aspirazione. Chiamiamola non so come, ma nelle serie americane che si occupano di potere, di presidenza degli Stati Uniti, di deriva autoritaria c’è un grande tema attorno cui si aggrovigliano tutte le vicende e questo tema si chiama impeachment, il procedimento d’accusa contro il Presidente, sospettato di aver violato la legge nell’esercizio delle proprie funzioni. In questi giorni circola una curiosa fotografia ufficiale scattata al termine dei funerali di Barbara Bush: la foto racchiude gli ultimi 30 anni della Casa Bianca: Bush senior (1989-1993), Bill Clinton (1993-2000), George W. Bush (2001-2008), Barack Obama (2009-2017). C’era anche l’attuale first lady, Melania Trump. Manca solo lui, l’ossessione narrativa. 
In realtà, l’impeachment contro Trump è al momento una prospettiva molto remota: non solo per ciò che è accaduto finora nella questione Trump-Russia-Comey, ma anche per come funziona la procedura negli Stati Uniti. Tuttavia, questo assillo è presente in Scandal, in The Good Fight (lo spin-off di The Good Wife), in The Designated Survivor e soprattutto nella settima stagione di Homeland che è appena iniziata su Fox.
Qui, l’ossessione narrativa si concentra su una vicenda tutta interna alla presidenza degli Stati Uniti. Dopo un tentato omicidio ai danni della presidente eletta Elizabeth Keane (Elizabeth Marvel), duecento membri dell’intelligence americana vengono fatti arrestare, fra cui Saul Berenson (Mandy Patinkin). La sua protetta, la protagonista Carrie (Claire Danes), è costretta a lasciare la Casa Bianca per impegnarsi a liberare gli altri membri dell’intelligence. Intanto la figura presidenziale è sempre più caratterizzata da comportamenti che ricordano quella vera. Che potere hanno le serie televisive? Il loro soft power ha una decisa forza di convincimento? E a chi si rivolge? Gli elettori di Trump guardano le serie?