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 2018  aprile 16 Lunedì calendario

Il fascino discreto della maldicenza

«A che scopo viviamo, se non per essere presi in giro dal nostro prossimo, e divertirci a nostra volta alle sue spalle?», scriveva Jane Austen, donna che grazie alla sua sferzante ironia, potremmo considerare la regina del pettegolezzo di fine Settecento. Perché l’arte del parlar male degli altri non è solo connaturata nel dna dell’uomo, ma viene utilizzata a più livelli, anche, e in certi casi soprattutto, per ferire consapevolmente la vittima prescelta. Di questo parla il libro appena uscito di Giada Sanchini, Il pettegolezzo (Bulgarini editore, pag. 167), una piccola, accattivante antologia letteraria che da Ovidio a Svetonio, da Goldoni a Dostoevskij, da Manzoni a Pirandello passando per Verga, mette in luce i passaggi più caustici dell’universo letterario dedicati proprio alla maldicenza.
Prima di lanciarci in questo succulento mondo del pettegolezzo, è d’obbligo una distinzione: di maligni è pieno il mondo, e prendere per i fondelli il prossimo tuo così come non faresti con te stesso è fra le cose più biecamente divertenti che l’uomo abbia coltivato nel corso dei secoli; ma un conto è spettegolare come Don Marzio sulle difficoltà economiche del mercante Eugenio accade ne La bottega del caffè di Carlo Goldoni altro conto è tentare di annientare il malcapitato a suon di etichette, come accade a L’esclusa di Luigi Pirandello, dove la presunzione di innocenza non viene neanche contemplata, tanto è perverso quel meccanismo secondo cui, se qualcuno ti apostrofa come adultera, allora la condanna è già bella che stabilita.
LE RAGIONI
Ma la domanda principale è: perché ci piace tanto parlar male della gente? Il più delle volte perché ci rendiamo conto che l’altro ha qualcosa che noi non abbiamo, e semplicemente siamo invidiosi. Accettiamo questa triste realtà. La nostra già bellissima vicina di casa ha deciso di rifarsi il seno? Ma guardala, una bambola di plastica perché magicamente diventerà tutta di plastica. Il nostro capo si è appena comprato un’auto che noi non possiamo permetterci? Ma chissà i soldi dove li avrà presi, visto che non combina nulla dalla mattina alla sera, si sarà sicuramente indebitato.
Per non parlare di tutto quel veleno che oggi chiunque, a qualsiasi ora, in modo gratuito, può sputare sugli altri grazie ai nostri amati, insopportabili social network. «I social hanno messo un megafono nella bocca di chi è già stupido», dice Catena Fiorello, scrittrice, sorella di Rosario e Beppe, sottolineando il fatto che da ieri a oggi c’è stato un evidente sviluppo nella pratica del gossip: «Siamo più disinibiti, non abbiamo nessun freno nel mettere gli altri in cattiva luce. Quantomeno sulle riviste dell’altro ieri c’era una salvifica ipocrisia, quella che mia madre chiama occhio sociale: si prestava attenzione a non ferire le persone che ci stavano accanto. Oggi non esiste più». Ed il pettegolezzo 2.0 ha un grande limite, che è proprio quello «di non avere limiti», dichiara la scrittrice Simonetta Agnello Hornby, «perché con le nuove tecnologie il nostro limite è infinito, il potere malevolo del pettegolezzo è cresciuto in modo impressionante». E ci ha pensato l’app Sarahah a fomentare ancora di più i bulli da tastiera, grazie al sistema di ricerca degli amici a cui inviare sms in forma anonima: l’anno scorso la app creata dal saudita Zain al-Abidin Tawfiw nata come strumento per i dipendenti aziendali che volevano esprimere giudizi sui loro capi spopolava tra quanti che la utilizzavano per dare sfogo alla cattiveria 2.0, nell’anonimato più totale.
I DANNI
Ma basta leggere la cronaca quotidiana per rendersi conto dei danni del cyber bullismo: l’ultimo suicidio risale a qualche giorno fa. Beatrice Inguì, 15 anni, si è gettata sotto un treno perché troppo grassa, e a neanche ventiquattrore dalla tragedia i social traboccavano di frasi d’odio: «Non sapevo che farsi mettere sotto da un treno fosse un metodo rapido di dimagrimento», uno dei tanti commenti. Un caso simile a quello della giovane Nadia, quattordici anni, gettatasi dal tetto dell’ex Hotel Palace di Cittadella spinta dai commenti che proliferavano sul social Ask: «Suicidati, sei strana».
Ma dopotutto, «in un’epoca non buona per i buoni sentimenti, la cicalata faceta e maligna ha trovato nella piazza digitale il suo luogo deputato. La nostra carne da cellulare preferita, da leccarsi le orecchie, soprattutto se pecca di qua e di là, con cupidigia. I social sono una bugia che dice la verità», sostiene Roberto D’Agostino, che di arte del pettegolezzo, eufemisticamente parlando, ne sa qualcosa. Eppure «l’Italia si sconta spiando», continua, «spiando i fatti degli altri, naturalmente. Dopodiché, massimo cinismo e minimo riserbo. Dimmi tutto, sarò una tromba!».
L’OBIETTIVITÀ
Ma c’è un aspetto fondamentale, legato al mondo della politica (un po’ come accade nelle Vite dei Cesari, in cui Svetonio si schierò contro gli imperatori, mettendo da parte l’obiettività, in difesa della Repubblica romana): «Il pettegolezzo, oggi, non è più quello delle classiche riviste di gossip (con le labbra variabili della Parietti e le capriole a letto di Dicaprio), tanto caro alla mamma e consolatorio per la portinaia. Acqua minerale passata» dice il fondatore di Dagospia, «l’Informazione ha sostituito la politica. Oggi potere e conoscenza coincidono, anche se forse nessuno aveva pensato che questa coincidenza avrebbe fatto del gossip la risorsa strategica del mondo postpolitico».
Insomma, parliamoci chiaro: che lo si chiami gossip, diffamazione o bullismo, sempre dal pettegolezzo si parte; dai programmi tv più trash alla chiacchiera di paese, dal terapeutico cicaleccio fra omuncoli e donnicciole, al pirandelliano Così è (se vi pare), non c’è essere umano sulla faccia della terra che non abbia trovato compiacimento nello screditare il valore altrui. Direbbe Shakespeare: «Molto rumore per nulla».