Corriere della Sera, 16 aprile 2018
«La corrida», show indissolubilmente legato alla figura di Corrado
Perdere il passato significa perdere il futuro: perché maltrattare così La corrida ? Nata in radio nel 1968 da un’idea dei fratelli Mantoni, migrata in tv nel 1986 (caso molto raro di trasposizione riuscita), La corrida era indissolubilmente legata alla figura del suo presentatore, il sempre rimpianto Corrado, e della sua formidabile spalla, il maestro Pregadio.
Era il caso di ripresentare una trasmissione storica della tv italiana che già Gerry Scotti nel 2002 e Flavio Insinna nel 2011 avevano tentato di far rivivere? Stando agli ascolti, la risposta è sì.
La corrida non era un trampolino per giovani talenti alla vana ricerca del successo, ma un’arena per veri e inimitabili dilettanti, spesso del tutto privi di attitudini e capacità, ma allegri e contenti nel farsi prendere in giro (la «cattiveria» di Corrado era un esercizio di raffinato cinismo).
Nel tempo, il robusto impianto della Corrida è stato eroso da due generi forti: il reality e il talent. Il primo ha permesso a molti dilettanti di credersi professionisti (e qualcuno ci è anche riuscito), il secondo ha tramutato i dilettanti in professionisti. L’unica vera conseguenza negativa è stata che troppi incapaci si son presi sul serio. Con La corrida, invece, la gente comune poteva dare sfogo alla propria ansia di protagonismo, accettare di mostrarsi per quello che era senza aspettarsi nulla di più, venire criticata da un pubblico di suoi pari senza paternalismi e altezzosa superiorità.
Il meccanismo della trasmissione (questa è stata la grande trovata di Corrado) funziona proprio quando è netto lo stacco tra il mondo dei professionisti e quello dei dilettanti: è l’inadeguatezza a un modello alto che strappa la risata, la simpatia. Il paradosso dell’edizione di Carlo Conti è che il dilettante allo sbaraglio è lui, nel patetico tentativo di imitare Corrado (Rai1, venerdì, ore 21.20).