La Lettura, 15 aprile 2018
Vendesi coro in legno del ’700. Stima del prezzo: 1,5 milioni
Coro ligneo del Settecento, di 28 stalli, capolavoro ebanistico, vendesi. La storia dallo spettacolare coro monastico realizzato e intarsiato da Luigi Prinotto (firmato anche Prinotti), Giuseppe Marocco e Giacomo Filippo Degiovanni nel 1740, ritornato in Italia dopo due secoli e ora esposto a Venaria Reale nella mostra Genio e Maestria. Mobili ed ebanisti alla corte sabauda tra Settecento e Ottocento è una specie di romanzo gotico senza finale. A ricostruirne i capitoli precedenti è stato Roberto Antonetto, giornalista e studioso di ebanisteria piemontese al quale si deve la spinta per il rientro in Italia di questo arredo sacro.
Le non concluse vicissitudini di questo coro iniziano intorno al 1740, quando viene commissionato a una triade di artisti-artigiani: Luigi Prinotto è uno dei maggiori ebanisti del Settecento piemontese; Giuseppe Marocco è lo scultore che realizza braccioli e la successione di 28 anfore e 30 angioletti, tutti in noce, che coronano gli stalli e Giacomo Filippo Degiovanni, il «minusiere» (dal francese menuisier ), ovvero colui che, tra i falegnami, costruisce i mobili in una bottega di maestri, lavoranti e apprendisti. Il coro fu realizzato per la comunità dei certosini: lo si capisce dai simboli presenti sul giro dei leggii, come la croce circondata da stelle. Non si sa con certezza per quale convento; probabilmente per la Certosa Reale di Collegno.
In epoca napoleonica gli ordini monastici vengono soppressi e spogliati dei loro averi; così anche il coro sparisce e in Piemonte non se ne sa più nulla. Uno stallo, però, riemerge esattamente cent’anni dopo, nel 1840 in una farmacia di Nizza, dove lo vede il nobile sir Edward Joshua Cooper (1798-1863), strano proprietario terriero, astronomo e politico irlandese. Gli piace, chiede informazioni. «Il resto del coro è in una cantina», lo informano. Va a vederlo e decide di acquistarlo: lo imballa e lo imbarca per il suo castello nel Donegal. Cooper è un tipo stravagante: ogni sera, prima si ritira nella cappella con il coro dei cistercensi a pregare (lui è un fervente protestante); poi, quando viene buio, sale sulla torre per osservare gli astri.
Cooper muore nel 1863 ma il coro resta lì sino al 1882 quando le figlie lo cedono (forse regalano) alla cattedrale di St. Mary a Tuam. Il vescovo anglicano se ne vantava: «È un oggetto d’arte così bello che solo in Italia poteva essere stato realizzato». Se ne sta lì per un secolo. Siamo arrivati così a fine anni Novanta quando Fabrizio Apolloni, un antiquario romano padre dell’attuale proprietario, lo vede un po’ dismesso e, a sua volta, lo compra. «Pare abbia convinto i canonici con del gin tonic», racconta Roberto Antonetto, che da allora prende a studiare il manufatto. Apolloni lo smonta, lo mette in 82 cassoni e lo lascia in un deposito di Londra per una ventina d’anni.
Siamo a oggi. Nell’ottobre 2016, ricorda Antonetto, nasce l’idea di una mostra sugli ebanisti piemontesi a Venaria e si decide di riportare il coro in Italia. «Contatto Marco Fabio Apolloni, figlio del precedente proprietario e antiquario a sua volta, che si lascia convincere a far rientrare il pezzo con l’umana speranza di venderlo». Apolloni sostiene le spese di trasporto e quelle di restauro. I pezzi del coro finiscono presso il Centro Conservazione e Restauro La Venaria Reale: qui si fanno morire i tarli e si tratta il legno di noce. I pezzi restano in restauro sino al febbraio scorso quando il coro, che è quasi in perfette condizioni (alcuni frammenti di avorio sono mancanti e alcuni angioletti risistemati) viene rimontato in una grande sala del piano nobile per la mostra. Apolloni vorrebbe cederlo: non intende imballarlo di nuovo e portarlo via. «Ma a chi venderlo? Penso solo a un’istituzione pubblica – afferma Antonetto —. Il coro è un capolavoro ebanistico, un’opera rara. Privati è difficile. Il 15 luglio, a fine mostra, qualcosa deve maturare. O qualche ente lo compra avviando una trattativa o viene di nuovo rimbalzato, ma dove?». Quanto al costo… «Marco Fabio Apolloni ha parlato di un milione e mezzo di euro».