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 2018  aprile 15 Domenica calendario

Ride meno l’emoji più allegro

Tu chiamale, se puoi, emozioni. Sì, perché gli emoji – le «faccine» con cui condiamo i nostri messaggi sullo smartphone o su Facebook – sono questo: un distillato di sentimenti, la cui funzione è raccontare con un colpo d’occhio uno stato d’animo. Non tutti gli emoji, però, ci piacciono allo stesso modo. E qualcuno lo postiamo molto di più. Stando ai dati di Emojipedia, l’enciclopedia online che li raccoglie e descrive tutti, l’emoji che abbiamo usato più spesso negli ultimi anni è stato Tears of Joy – ToJ, lacrime di gioia – con il quale abbiamo tentato di aggiungere ai nostri post il suono di una risata così potente da farci piangere. 
ToJ è stata la faccina più utilizzata sui dispositivi Apple nel 2017, condivisa 6,6 miliardi di volte su Twitter nel 2015, e la più postata su Facebook lo scorso anno. Secondo Emojitracker.com, il sito online che traccia la pubblicazione degli emoji su Twitter, ToJ è ancora prima in classifica tra i simboli più diffusi sul sito di microblogging. Eppure, notano gli esperti di Emojipedia, ToJ sta cominciando a subire un lieve ma costante declino. 
Gli analisti lo hanno scoperto comparando Tears of Joy a un emoji fratello, Rolling On The Floor Laughing – rotolarsi per terra dalle risate, la «faccina» che ride piegandosi da un lato. Hanno così notato che quando ToJ ha subito una lieve discesa l’altro emoji ha registrato un piccolo incremento d’uso, mentre nel totale il numero di volte in cui i due simboli sono stati usati non è aumentato. 
Che cosa significa? Gli utenti, scrivono, pubblicano l’una o l’altra come alternative e il momento di maggior successo per ToJ potrebbe essere passato. Un diffuso dibattito, dopotutto, l’emoji l’ha già scatenato nel 2015, quando è stato riconosciuto come «parola» dell’anno dalla Oxford Dictionaries. L’organizzazione, legata all’Oxford University Press e nata per analizzare il modo in cui evolve la lingua inglese, ha deciso di attribuire tanta rilevanza a un emoji per una ragione spiegata dal presidente, Casper Grathwol. Il nostro alfabeto, ha dichiarato, sta affrontando una battaglia per venire incontro alle esigenze della comunicazione del XXI secolo, fortemente visiva ed emotiva. Non bisogna sorprendersi se una scrittura pittografica come l’emoji riesca a colmare un vuoto e ad arricchire le conversazioni dotandole delle potenzialità del linguaggio non verbale. Un potere riconosciuto anche a livello accademico, da Monica Riordan, ad esempio, docente di Psicologia alla Chatham University, la quale ha definito gli emoji una sorta di punteggiatura emotiva. 
Bisogna però usarli con attenzione. Quando li pubblichiamo nel mezzo di una frase o in sostituzione di una parola gli emoji aumentano il rischio di incomprensione o di fraintendimento. Chi scrive tende a scaricare la responsabilità dell’interpretazione degli emoji sul destinatario. Un errore, perché è obbligatorio per chi parla operare tutte le scelte possibili per rendere chiare le proprie intenzioni. Non solo. Un simbolo funziona se gli interlocutori gli attribuiscono significati simili. E riescono a farlo se condividono esperienze, ricordi, storie. Così se scambiamo lo stesso emoji con nostra madre, un’amica o con il fidanzato, è possibile che ognuno lo percepisca con una sfumatura diversa. 
Le faccine, insomma, rivelano la psiche più di tanti giri di parole. Cosa dicono della nostra società, quindi, il successo e il declino di Tears of Joy ? Per la linguista Gretchen McCulloch, che nel 2016 ne ha commentato la diffusione, l’emoji indica la volontà di comunicare allegramente nell’ambiente digitale. Vogliamo ridere e farlo ora. Per Krystal D’Costa, antropologa, ToJ assomiglia al «mi piace» di Facebook e il successo di entrambi è spiegato dalla volontà di connessione. Usiamo il pollice in su per rafforzare il post di qualcuno, per dirgli che ne condividiamo il punto di vista, per esprimere prossimità. Così ridere insieme ci farebbe sentire più vicini e in contatto, anche se lo facciamo solo attraverso un emoji inviato via WhatsApp. 
Ci sono però altre ragioni per cui ToJ ha riscosso successo. Una riguarda il design: è stato progettato bene. Lo scrivono gli autori dello studio Learning From the Ubiquitous Language (2016) dalla University of Michigan School of Information e dall’università Beida di Pechino. I ricercatori hanno analizzato per un mese gli emoji nei messaggi di circa quattro milioni di utenti in 212 Paesi e hanno rilevato la diffusa presenza nei testi di ToJ. «La popolarità – ha scritto Wei Ai, coordinatore della ricerca – è influenzata da diversi fattori. Nonostante alcuni emoji sembrino simili, le persone non li interpretano in modo simile. Probabilmente perché alcuni sono meno ambigui e rappresentano un miglior sostituto per le parole». Alcune faccine, insomma, hanno successo perché disegnate meglio, oppure, continua Wei Ai, sono situate in un posto migliore nella tastiera o perché subiscono l’effetto palla di neve: contribuiamo a diffonderle perché altri le diffondono e diventano inarrestabili. 
Anche il declino di ToJ avrebbe una spiegazione. Secondo gli autori di Dictionary.com, versione digitale del Random House Unabridged Dictionary, l’emoji avrebbe un lato oscuro. Può essere utilizzato per irridere le persone, prendersi gioco delle disgrazie altrui e assomiglierebbe alla risata crudele di un maniaco. Non sarebbe un caso il fatto che l’emoji sia stato usato per realizzare terribili passamontagna, completamente gialli, con ToJ stampato sul viso di chi li indossa in due versioni: con o senza il buco per guardarci attraverso. Una maschera sadica, da film horror, venduta online e nominata dal blog The Worst Things For Sale – le peggiori cose in vendita – tra gli oggetti più terribili mai proposti nel commercio online. Insomma, fate attenzione a come usate ToJ. Qualcuno potrebbe interpretare male il messaggio e scorgere tra le lacrime un lampo di crudeltà. Dopotutto, da quanto tempo nella vita reale non ridete così forte da farvi venire le lacrime agli occhi?