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 2018  aprile 15 Domenica calendario

Quel capolavoro (non biografico) per raccontare la leggenda Mozart

Non mancavano difetti, in Amadeus di Forman. Errori per lo più storiografici dovuti al peso della leggenda fiorita attorno al personaggio Mozart. Al di là dell’identificazione puskiniana di Salieri nel committente del Requiem, erano troppo influenzati dall’estetica romantica il tema del padre-commendatore, il ritratto caricaturale della corte asburgica – quel Theater auf der Wieden in cui nacque il Flauto magico presentato come un baraccone da circo. Mentre la pellicola calcava la mano sulla scanzonata spavalderia del musicista, ometteva di lasciare almeno un cenno sulla sua cultura, assai più approfondita di quanto il film inducesse a immaginare. Ma Amadeus non nacque come la biografia di un filologo. Era un film meraviglioso e come tale andava valutato. Il tema cardine, che il genio cioè non dipende dal merito, e la conseguente invidia di chi ne è privo, era condotto con acume straordinario e attori in stato di grazia, in primis il Salieri di Murray Abraham. E il percorso narrativo era cosparso di incontrovertibili verità: quell’incipit con il tema della Romanza del Concerto per pianoforte n.20 come esempio di un Bello fatto di niente; quelle parole sul perdono universale elargito da Dio, mediante Mozart, che Salieri medita tra sé mentre ascolta il finale delle Nozze di Figaro; quell’isterico rimbrotto della suocera che diventa l’ Aria della Regina della notte. Stupenda infine la galleria delle scelte musicali che contrappuntavano il racconto: mai le «troppe note» che Giuseppe II imputava al salisburghese.