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 2018  aprile 15 Domenica calendario

Daphne, la donna che adottava i piccoli elefanti rimasti orfani

Il primo «orfanello» adottato era stato chiamato Dika, era un elefantino di sei mesi che pesava sui cento chili e che aveva assistito a una scena atroce: il massacro a colpi di mitra dei genitori e di tutto il suo branco. Il cucciolo era stato risparmiato dalla ferocia dei bracconieri perché ancora non aveva le zanne. A trovarlo mentre vagava tra le carcasse nel parco nazionale dello Tsavo (il più grande del Kenya, esteso come la Toscana) fu Daphne Sheldrick, origini britanniche, che allora – sarà stata la fine degli anni Sessanta – era una vigorosa ragazza da poco sposata con David, direttore del Parco. «Non possiamo lasciarlo al suo destino, morirebbe. Lo alleveremo noi, sei d’accordo?» chiese David a Daphne. Che rispose sì, senza esitare. Dopo Dika, seguirono Juma, poi Olmeg e Alamaya. Un totale di circa 230 elefantini orfani, salvati e adottati da Daphne, rimasta vedova ben presto, nel 1976, e che decise di portare avanti la battaglia in difesa degli animali condotta dal compagno. 
Dopo una vita trascorsa ad allevare quei trovatelli – che definiva «gli animali più umani» – Daphne si è spenta giovedì, a 83 anni, al termine di una lunga battaglia contro un cancro che «sembrava non averla nemmeno scalfita» raccontano al «David Sheldrick Wildlife Trust», la fondazione nel cuore dello Tsavo creata da questa battagliera animalista, e che ora la ricorda così: «Parlava al cuore degli elefanti». Più che un «orfanatrofio», Daphne aveva ideato una scuola per il recupero dei cuccioli senza genitori, celebrata anche in un documentario della Bbc. Intervistata mentre potava rose, la «mamma» dei tanti cuccioli aveva raccontato storie uscite dalle pagine di Karen Blixen e Rudyard Kipling. A partire dall’emozione frammista a dolore provata quando, oramai in grado di badare a se stesso, ogni elefante lasciava il ranch : «Tutta la mia vita è stata finalizzata a questo: salvarli e riportarli alla libertà».
Dei primi giorni di Dika nella nuova «famiglia», Daphne ricordava che «era traumatizzato. Lo coccolai per settimane. Soffriva terribilmente appena mi allontanavo e, proprio come un bimbo, voleva che gli rimanessi sempre accanto. Perfino di notte fui costretta a dormire con lui perché non bastava che appendessi i miei abiti nella sua stalla». Scene riviste con Juma – «rimasto isolato in mezzo a una radura, forse perché si era perduto» – e con Olmeg, che rifiutava il latte di mucca come quasi tutti gli altri. Ostacolo non da poco, risolto per caso: «Provai con quello in polvere e mi accorsi ben presto – raccontava – che lo gradivano, ancor più se insaporito con il latte di cocco». Formula brevettata per la quale aveva ricevuto una laura honoris causa e un premio consegnato dalla Regina Elisabetta. 
Agghiaccianti, le cifre elencate da Daphne sullo sterminio degli elefanti: «Erano oltre tre milioni un secolo fa. Ora (nel 2016, ndr ) in Africa se ne contano non più di 400 mila. Ne vengono uccisi circa 30 mila l’anno». Massacrati con i kalashnikov dai bracconieri, magari legati a organizzazioni terroristiche come Boko Haram e Al Shabaab che si finanziano anche con il lucrosissimo traffico delle zanne. «Basterebbe non comperare più oggetti in avorio e la strage finirebbe», era stato il gelido suggerimento di Daphne. Ma alla fine del documentario della Bbc si era commossa al ricordo di quegli orfanelli che, una volta adulti, tornavano regolarmente al ranch «a trovarmi con i figli. Sembravano dirmi: “Daphne, nonna, sono i tuoi nipotini”».