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 2018  marzo 20 Martedì calendario

Il bello del degrado

Ci sono luoghi che non appartengono a nessuno, dove il tempo sembra essersi fermato. Sono vecchie fabbriche, ville abbandonate, ospedali fatiscenti. Dimenticati lì, in un giorno preciso, lontano. Con i macchinari intatti, i cassetti dei comò ben chiusi, i letti fatti. Dietro alle sterpaglie, alla ruggine e alla muffa che li avvolgono, ci vedi passati gloriosi, dettagli impolverati di vita quotidiana, storie che chissà a quanti anni fa risalgono. E anche se ora sono solo ruderi consumati, hanno quel sapore di decadenza che li rende unici. In attesa di sapere se verranno mai abbattuti o ristrutturati, sono mete di pellegrinaggio per architetti e fotografi. E per tutti quegli «esploratori urbani» che sanno guardare oltre il degrado, intuendone il fascino, immaginandone il potenziale. 
ARTE TRA LE ROVINE
In gergo si chiama Urbex, che sta per «urban exploration». È l’arte di andare a caccia di edifici abbandonati e di infiltrarsi in costruzioni spesso pericolanti. Con l’unico scopo di scattare qualche foto, possibilmente senza toccare nulla. Sono in tanti a praticarla, gruppi di appassionati che sorgono in ogni parte d’Europa e Italia e che condividono i loro scatti via web, raccontando nei blog le storie di palazzi, navi fantasma, ex manicomi, vecchi parchi divertimenti. Tra i siti più completi ci sono «Ascosi Lasciti» e «I luoghi dell’abbandono». Uno dei blog più visitati è quello di Matteo e Deborah, i «Vagabondi squattrinati», che riportano i lavori di vari fotografi o scatti dei loro viaggi. Gli esploratori urbani non sono avventurieri improvvisati, ma hanno un preciso vademecum da seguire. Innanzitutto per capire che si tratta di un’attività che oscilla tra il lecito e l’illecito (è un attimo essere accusati di avere violato una proprietà privata) e poi per evitare di cacciarsi in situazioni pericolose. «Sappi che forzare un ingresso è un crimine aggiuntivo a quello di violazione di proprietà – spiegano i siti di Urbex -. Non portare con te cacciaviti o tenaglie: se vieni fermato questi arnesi saranno sufficienti a metterti nei guai per tentato furto. Attenzione alla presenza di vandali e abusivi». Altra regola da tenere presente riguarda l’equipaggiamento: no magliette a maniche corte né tute da ginnastica (si impigliano facilmente tra i rovi e non riparano da graffi). Le scarpe devono avere una suola spessa e il collo alto per riparare da vetri rotti o chiodi. 
I PERICOLI 
Bisogna sempre portare con sé un kit di pronto soccorso e, negli edifici pericolanti, stare molto attenti ai pavimenti a rischio crollo o ai bordi dei cornicioni. Va sempre portata con sé una bomboletta spray, soprattutto se ci si inoltra in cunicoli bui, per segnare i bivi e non perdersi nei labirinti sotterranei. E poi la raccomandazione più importante: lasciare la struttura intatta. «L’esplorazione urbana – spiegano i ragazzi del movimento artistico – è provare il fascino delle aree fantasma, il piacere di scattare foto e produrre video e non becero vandalismo. Non rovinare l’esperienza ai futuri esploratori. In questi luoghi si è comunque degli ospiti e vanno trattati con rispetto». Insomma, la ricerca del bello del degrado è una cosa seria, non per tutti. Fondamentale è anche il momento della post produzione, quando si sistemano le foto, esaltandone luci e ombre. Solitamente gli appassionati di Urbex pubblicano i lavori più belli. C’è chi nei forum indica con precisione la posizione del rudere esplorato suggerendola agli altri appassionati e c’è invece chi preferisce tenerla segreta. Il bello dell’esplorazione sta anche il questo: nella ricerca del luogo, a volte trovato per puro caso in mezzo a un campo, a un bosco, o in qualche area industriale di periferia. 
ARCHITETTI VISIONARI 
Per raccontare le origini dell’Urbex, l’archistar Stefano Boeri cita gli edifici fatiscenti e le città immaginarie del film The stalker di Andrej Tarkovskij. Ed è proprio quell’atmosfera, immobile e malinconica, che cercano i fotografi esploratori. «Ovviamente il degrado non è bello ma un’opportunità perché ci si trova di fronte a uno spazio non decodificato – spiega Boeri -. È affascinante vedere come ogni edificio invecchi a suo modo, come la natura si riappropri del paesaggio urbano creando un’estetica spontanea. La vera sfida è intuire il potenziale di quel luogo dimenticato». Sono proprio le proiezioni mentali dei grandi architetti che permettono di dare una seconda vita ai luoghi. 
E così, per fare qualche esempio, l’ex mattatoio del Testaccio di Roma è diventato sede universitaria, scuola di musica, città dell’«altra economia». L’ex raffineria di Catania è un centro per le arti contemporanee. Le ex Varesine di Milano ospitano i grattacieli più avveniristici e il Bosco verticale dello stesso Boeri che ha anche immaginato, e progettato, un fiume verde al posto degli scali ferroviari milanesi abbandonati. Una vera e propria riforestazione urbana che darà un nuovo volto alle aree del degrado. Fondamentale, prima dei progetti definitivi, è anche la fase intermedia dei luoghi, da utilizzare per usi temporanei: una nuova sfida che l’architettura sta cogliendo appieno assieme alla filosofia dell’intervenire sul costruito anziché sui terreni liberi.
IL CENSIMENTO CHE NON C’È 
L’altro lato della medaglia del degrado è fatto di ettari ed ettari sprecati. Dimenticati non solo dai progettisti ma anche dai censimenti ufficiali, inesistenti o incompleti. In base a una stima di Legambiente, gli edifici abbandonati sarebbero oltre 5 milioni in tutta Italia. A questi si aggiungono quelli a pezzi: il 45% degli edifici pubblici è stato realizzato prima del 1945. Inoltre, in base a un rapporto Istat, il 3% del territorio nazionale (novemila chilometri quadrati) è rappresentato da aree industriali dismesse. Ma una mappatura completa dei luoghi fantasma non esiste, soprattutto quando si tratta di una villa privata o di un palazzo antico. Per questo, nella ricostruzione dell’Italia che non c’è più, anche il tassello fotografato dagli appassionati di Urbex contribuisce a fare vivere i luoghi di nessuno.Maria Sorbi

La fabbrica di nessuno che potrebbe fare da sfondo a un film
Sarebbe il set perfetto per un film di fantascienza. Apocalittico. E rappresenta una tappa imprescindibile per chi ha voglia di esplorare il bello del degrado. 
È l’ex acciaieria Scianatico di Bari, dismessa definitivamente nel 1994 e rimasta lì, immobile, come fosse un enorme monumento urbano. Prima o poi verrà abbattuta e trasformata in un’area commerciale e in un complesso residenziale, ma al momento è meta di un’esperienza che attrae gli amanti di Urbex di tutto il mondo, soprattutto quelli che seguono il filone delle aree industriali abbandonate. Ci sono ancora i macchinari, i cartelli segnaletici per gli operai. E la natura ha creato strani disegni e nuove, perfette, architetture, arrampicandosi sulle travi, avvolgendo di muschio e muffe vetrate e tavoli da lavoro. Riappropriandosi, in fondo, del suo spazio. 
Gli alberi, nati spontaneamente dove un tempo c’erano le catene di montaggio, ora sono alti fino al tetto, anche più. Spesso i fotografi si intrufolano in quei grossi capannoni che un tempo furono persino occupati dalle truppe inglesi per produzioni esclusivamente belliche. Tuttavia nelle chat, le acciaierie pugliesi sono segnalate come uno dei luoghi più pericolosi perché frequentato da balordi e clandestini. 
E scenario di episodi di cronaca nera da brivido. Solo qualche mese fa all’interno dell’ex fabbrica vicino alla ferrovia sono stati trovati dei resti umani di una donna, probabilmente uccisa per motivi passionali. I fotografi, scambiandosi l’indirizzo della vecchia siderurgia, si raccomandano anche di tenere gli occhi ben aperti e di evitare di avventurarsi da soli nei capannoni. 

Tra ricette e sedie a rotelle. Il fascino disperato della casa dei matti
Sui carrelli di acciaio, ormai arrugginiti, ci sono ancora le fialette dei prelievi di sangue e i lacci emostatici. Fra gli schedari abbandonati si trovano cartelle cliniche e rapporti medici sulla tubercolosi. E ogni angolo parla di disperazione e solitudine. 
È un’atmosfera surreale quella che si respira negli stanzoni dell’ex manicomio di Colorno, in provincia di Parma. Immortalato in uno scatto del fotografo Roberto Cavallo, l’ospedale psichiatrico è meta molto ambita dagli appassionati di Urbex. Soprattutto da quando lo street artist brasiliano Herbert Baglione ha realizzato, sulle pareti scrostate della «casa dei matti», il suo progetto «1000 shadows». L’artista ha dipinto sui muri del manicomio sinistri spettri e ombre nere per rendere omaggio alle anime che là dentro hanno trascorso ore di sofferenza, probabilmente senza rimanere immuni da elettrochoc e lobotomie. 
Grazie agli scatti degli artisti esploratori, ora si conoscono quei corridoi inquietanti, quelle celle che nemmeno il peggiore dei carcerati, quelle porte chiuse perennemente a chiave e graffiate dalle unghie inquiete di qualche «folle». C’è da perdersi là dentro, in un edificio fatto di corridoi con gli intonaci sbriciolati e ogni angolo che racconta la storia di pazienti in isolamento.
Nei forum di Urbex si parla spesso del manicomio che fu, ci si scambiano consigli su come entrare e cosa cercare. E si racconta una storia, cominciata nel 1873 quando l’amministrazione provinciale di Parma, in seguito all’epidemia, trasferì provvisoriamente l’ospedale psichiatrico a Colorno, riadattando per l’occasione i locali. Quella soluzione temporanea divenne poi definitiva. 

La favola del burattino dimenticato tra le quinte di un teatro
C’è una categoria di appassionati di Urbex che va oltre il concetto di reportage artistico. Usa piuttosto lo sfondo di fabbriche abbandonate, teatri in disuso o ospedali in attesa di essere abbattuti per inscenare storie di fantasia. 
Magari, in mezzo a quelle macerie, i fotografi ci appoggiano una bambola scucita, un manichino, una sedia. E da quello spunto costruiscono una narrazione, che spesso diventa una vera e propria piéce da mettere in scena. Così fa Emanuele Bai, classe 1980, uno dei primi autori a pubblicare i suoi scatti sul sito Urbex Ascosi Lasciti. Tra questi anche quello del teatro abbandonato rappresentato nella foto qui a fianco. 
Un piccolo palcoscenico che Bai utilizza come ambientazione per la sua storia di fantasia. Quella di un burattino di stracci «con le pietre al posto del cuore, la segatura nella testa, le gambe e le braccia di legno. I miei occhi – racconta – sono di vetro, la bocca è fatta di lana. Non ho orecchie, indosso scarpe di bambola ed un vecchio cappello rubato ad uno spaventapasseri». Nella storia, il burattino è rimasto chiuso in una soffitta impolverata per anni, da quando il teatro è rimasto lì, senza pubblico e senza applausi. Emanuele Bai, a differenza di molti altri amanti di Urbex, non svela il luogo esatto del teatro. 
«Per me – spiega – fotografare i luoghi dimenticati è un percorso emozionale. Spesso, quando mi imbatto in un posto che mi affascina, non voglio nemmeno sapere la sua storia. Né cosa accade realmente lì dentro. Preferisco inventarmi una storia, senza condizionamenti, ma seguendo solo suggestioni e quello che l’atmosfera mi suggerisce». E quando ti trovi di fronte a un sipario polveroso, la favola si scrive da sé.

Leggende e paure: i misteri del castello dei fantasmi
Ci vuole coraggio a entrare nella villa De Vecchi a Cortenova, in provincia di Lecco. La vecchia casa è infatti avvolta da una leggenda tanto affascinante quanto da brivido. Si narra che in quelle stanze si aggirino i fantasmi, storia di fantasia (o, in altre parole, clamorosa fake news) che rende ancor più suggestiva l’esplorazione fotografica. 
La tradizione dice che la decadenza della cosiddetta «casa rossa» iniziò dopo che il conte De Vecchi trovò la moglie orrendamente assassinata e la figlia scomparsa: niente di vero. Il conte rimase vedovo e morì nel 1862, a 46 anni, lasciando due figli ancora ragazzi. La casa fu ereditata dal fratello, poi passò ad altri proprietari, e da lì cominciò il declino. Un’altra leggenda riporta che un brutto giorno il custode trovò la moglie assassinata e si suicidò per il dolore: tutto falso anche in questo caso. Ma le storie sui fantasmi si fecero sempre più insistenti. 
Negli anni Venti Aleister Crowley, fondatore del moderno occultismo e fonte di ispirazione gruppi storici come i Led Zeppelin, vi soggiornò per alcune notti e da quel momento la villa non si scrollò mai più di dosso la nomea della casa infestata dagli spiriti. Un autentico invito a nozze per i cacciatori di scatti fotografici e di storie da costruirci attorno. Un destino simile è quello di alcune ville in mezzo alla boscaglia vicino a La Spezia (fotografate da Davide Calloni per il sito Ascosi Lasciti). Ci si raccomanda di non avventurarsi là dentro perché sono pericolanti.
Attorno a quei luoghi da anni circolano aneddoti strani, tanto da far diventare le case oggetto di studio per il centro di ufologia. Ufo o no, la loro atmosfera decadente e misteriosa ha dato spazio alla creatività Urbex.

Discoteche silenziose, alla ricerca della movida di vent’anni fa
C’erano sette piste da ballo, fontane zampillanti, e i ragazzi ballavano senza sosta fino all’alba. In consolle i dj più quotati a mixare i pezzi dell’inizio degli anni Novanta. Ora dell’Ultimo impero resta poco. Tra i divanetti sventrati e la gomma piuma sbriciolata sono cresciute le erbacce, gli specchi sono rotti e l’insegna quasi non si legge più. 
I fotografi urbani si divertono a cercare le tracce delle nottate mondane e si avventurano spesso nel locale aperto nel 1992 nella zona industriale di Airasca e None, sulla statale per il Sestriere. Dopo tre anni di costruzione e vicissitudini che rallentarono il termine dell’opera, finalmente si giunse all’inaugurazione che vide in consolle i dj Pietro Villa, Claudio Coccoluto, Claudio Diva, Stefano Secchi e Manuel Bagnoli, alternati nelle varie sale del locale, il tutto sotto la regia artistica della animatrice Pinina Garavaglia e del suo staff.
Il locale, negli anni successivi, cambiò nome in Privilege, poi Templares ed infine Royal Fashion Club, sino a essere poi chiuso per questioni legali. Attualmente la struttura si trova in totale stato di abbandono ed è ridotta in molte sue parti a un rudere. Il filone dei locali notturni e dei parchi divertimento è molto ricercato tra gli amanti dei luoghi abbandonati e l’Emilia Romagna è una delle regioni che conta più «scheletri della movida». 
Nei blog e nei siti, c’è un lungo elenco di vecchie balere, centri acquatici, luna park decadenti da cercare in giro per l’Italia. Posti pericolosi in cui inoltrarsi ma senza dubbio affascinanti. E ogni scatto fa emergere quell’amaro contrasto tra la vita, i rumori e la confusione che un tempo avvolsero scivoli, piscine, piste e bar e il silenzio tetro, ingrigito di adesso. 
Sfumature che i seguaci di Urbex valorizzano nei loro lavori fotografici giocando sul concetto di svago e abbandono, lusso e degrado.