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 2018  marzo 20 Martedì calendario

La meglio gioventù del Sud e quelle notti in pullman sperando in un concorso

Potremmo definire la protagonista della video-inchiesta di Antonio Crispino come la meglio gioventù del Sud. Sono ragazze e ragazzi che sognano ad occhi aperti di cominciare a lavorare, che non hanno timore a sacrificarsi per sfruttare ogni piccola occasione e che però si tengono ben al di qua del rancore. I loro racconti vanno presi molto sul serio e dipingono un paesaggio socio-economico fatto di lavoretti sovente in nero, di sale scommesse, di chiamate all’ultimo momento per sostituire un assente. Sul versante privato conosciamo 33enni costretti a vivere ancora in famiglia, giovani coppie obbligate a rinviare sine die i loro progetti di vita, ragazze che sono tornate dall’estero e si sono pentite. 
Sono laureati in Scienze infermieristiche e collezionano concorsi pubblici (persino fino a quota 15!) quasi sempre al Nord, viaggiano tutta la notte in bus per risparmiare sui costi e il giorno dopo magari corrono il rischio di addormentarsi sui banchi dell’esame. Il loro resta comunque un viaggio della speranza ma è facile che in successive puntate si trasformi in un viaggio della disperazione. Il precariato giovanile non è una prerogativa del Meridione d’Italia, esiste anche al Nord ma statisticamente non c’è paragone tra le possibilità di trovare un lavoro nelle regioni padane rispetto ai territori a sud del Lazio. Questi ragazzi lo sanno e perciò si sottopongono a 16 ore di pullman per accedere a passo di corsa al concorsone di turno, giusto il tempo di «darsi una sciacquata alla faccia». In tempo di migrazioni bibliche da un continente all’altro potrà sembrare anacronistico focalizzare gli spostamenti da 700 o mille chilometri ma per la responsabilità che abbiamo, se non altro come adulti, non possiamo certo voltarci all’indietro.
Il flusso di giovani talentuosi e speranzosi verso le regioni settentrionali è in costante crescita. I numeri non sono paragonabili alle grandi migrazioni degli anni 60 e 70 che spostarono 4 milioni di persone, ma allora lasciavano il Sud disoccupati che non avevano studiato o persino analfabeti, oggi se ne vanno gli studenti con i voti più alti, che hanno frequentato il liceo e hanno alle spalle famiglie con un buon reddito. La meglio gioventù che sarebbe dovuta diventare la nuova classe dirigente meridionale capace di innervare le Amministrazioni pubbliche, gli enti locali, i corpi intermedi e la politica. Se ne vanno giovani diplomati che si iscrivono nelle università del Nord per essere più vicini a un mercato del lavoro più ricco, se ne va anche chi si laurea al Sud e non trova sbocchi adeguati in loco. È un drenaggio di talenti e risorse intellettuali che non avviene negli stessi termini all’interno di nessun altro Paese europeo e finisce per lasciare stremati i territori di origine. E così, anche per questa via, la società del Sud finisce per sprofondare. A sud di Roma l’industria esiste, ci sono presidi di competenza e di manufacturing – come si dice – più che rilevanti ma tutto attorno rischia di esserci un deserto. Di speranze, di motivazioni, di mancato ricambio, di società civile. Persino le nascite, che erano una prerogativa del Meridione, sono in costante ribasso e si fanno meno figli che nel Centro-Nord.
Dopo i risultati del 4 marzo si è aperta una riflessione sul voto meridionale pressoché monopolizzato dai Cinque Stelle, una riflessione che non va chiusa sommariamente. Come hanno scritto sul Corriere Lucrezia Reichlin e Francesco Drago è sbagliato operare una sbrigativa reductio ad unum e catalogare il voto come un’unica grande richiesta di assistenzialismo. Anche società che retrocedono e si spezzano presentano una loro segmentazione/complessità e non c’è altra strada che analizzare la domanda che viene dal basso con la doverosa attenzione. Se vogliamo, infatti, che i ragazzi dell’inchiesta di Crispino restino ancora al di qua del rancore dobbiamo formulare le domande giuste e provare a dare delle prime risposte. Di sicuro non si può che partire dal lavoro, l’idea di finanziare il suo contrario – il non-lavoro – non credo possa portare molto lontano e non è nemmeno detto che fermi la diaspora. I migliori e i coraggiosi preferiranno comunque andarsene.