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 2018  marzo 18 Domenica calendario

Milioni di utenti Facebook spiati dalla società legata a Trump

NEW YORK Milioni di elettori americani spiati via Internet a loro insaputa per capire non solo gli orientamenti politici, ma anche il loro profilo psicologico: tipi impulsivi, riflessivi, introversi o altro. Carpendo da Facebook i dati di 50 milioni di cittadini Usa e tarando poi il messaggio politico da sussurrare all’orecchio di ognuno sulla base delle caratteristiche temperamentali dedotte dalla loro attività sul web: siamo già a questo. Che tecnologia e psicologia pesino sulle elezioni americane lo sappiamo da molti anni. Dalle campagne di Obama a quella di Trump, potenziata dai progressi dell’intelligenza artificiale.
Ora il puzzle delle tecniche informatiche usate dalla società Cambridge Analytica nelle presidenziali 2016 (per Ted Cruz e poi per Donald Trump) per influenzare la psicologia degli elettori americani, sta diventando un mosaico nel quale quasi tutte le tessere vanno a posto grazie alle indagini giornalistiche e giudiziarie. Ultimo, lo straordinario contributo di un «pentito»: Christopher Wylie, l’informatico che ha lavorato in Cambridge Analytica fin dalla sua fondazione, lasciandola qualche anno fa per obiezione di coscienza. Wylie ha raccontato al britannico Observer e al New York Times come questa società, originariamente denominata SCL, ha convinto il miliardario conservatore Robert Mercer e l’ideologo Steve Bannon, allora direttore di Breitbart, a finanziare con decine di milioni e a sostenere politicamente lo sviluppo di una sofisticata piattaforma capace di analizzare gli elettori non più solo sulla base dei voti espressi e dei modelli di consumo, ma penetrando nella psicologia dei singoli.
Per farlo, però, la società necessitava di un’enorme quantità di dati che non aveva. Così il suo padrone, l’inglese Alexander Nix, tentò di ottenere attraverso l’università di Cambridge l’accesso al database di Facebook. Respinto dall’ateneo, Nix, su suggerimento di Bannon, cambiò il nome della società da SCL a Cambridge Analytica per farle acquisire una parvenza accademica e trovò in Aleksand Kogan, un professore russo-americano che aveva accesso ai dati di Facebook, un collaboratore pronto a trasferire le informazioni su 50 milioni di americani dagli archivi del grande social network a quelli della «falange» digitale di Donald Trump. Guidata dal quel Brad Parscale appena messo alla guida della campagna per la sua rielezione nel 2020.
Facebook, che ancora una volta aveva minimizzato i segnali d’allarme, cade dalle nuvole: si dichiara innocente, condanna l’uso abusivo della sua piattaforma, caccia Cambridge Analytica e i personaggi coinvolti. Seguiranno altre puntate appassionanti: nell’ambito del Russiagate il procuratore Bob Mueller indaga da tempo su questa società che sembra aver commesso molti atti illegali a cominciare dall’uso di cittadini stranieri (da Nix allo stesso Wylie, canadese) in azioni relative alle elezioni Usa: cosa vietata dalla legge. Irrilevante per Bannon: «Per lui – spiega Wylie – siamo in guerra: una guerra culturale, prima che politica. E in guerra tutto è permesso».