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 2018  febbraio 23 Venerdì calendario

Juncker ha paura del voto italiano

Grande agitazione ieri tra i politici e gli investitori per le parole pronunciate da Jean-Claude Juncker.  

Juncker chi? Quello a cui piace alzare il gomito e che da premier lussemburghese ha favorito i paradisi fiscali?
Non sia così maligno. Juncker, il presidente della Commissione europea. Con tono perentorio ha detto quanto segue: «C’è un inizio di marzo molto importante per l’Ue. Ci sono il referendum Spd in Germania e le elezioni italiane, e sono più preoccupato per l’esito delle elezioni italiane che per il risultato del referendum dell’Spd». Parlando della Germania Juncker si riferiva al voto con cui i 450 mila membri del Partito socialdemocratico tedesco dovranno esprimersi sulla cosiddetta Große Koalition, l’accordo per un governo di larghe intese da mettere in piedi insieme all’unione cristiano-democratica (Cdu), i democristiani della cancelliera Angela Merkel. Referendum il cui esito sarà reso noto il 4 marzo, stesso giorno del voto in Italia. Non solo. Per Juncker «dobbiamo prepararci allo scenario peggiore, cioè un governo non operativo in Italia». Assieme all’incertezza in Spagna, la combinazione di tutti i fattori è da mettere in conto, secondo il numero uno di Palazzo Berlaymont, «una forte reazione dei mercati nella seconda metà di marzo. È a questo scenario che ci prepariamo». In serata poi ha tentato goffamente di fare marcia indietro, con una nota ufficiale che recita: «Qualunque sarà l’esito elettorale, sono fiducioso che avremo un governo che assicurerà che l’Italia rimanga un attore centrale in Europa e nella definizione del suo futuro». Ormai, però, i danni erano fatti.  

Quali danni?
Com’era da aspettarsi, Piazza Affari ha reagito negativamente. Mentre le Borse europee sono rimastestabili, Milano è andata giù, arrivando a cedere l’1,5% a 22.338 punti, per poi chiudere al ribasso dello 0,84%. In più lo spread con i bund tedeschi si è allargato a 137 punti base.    

• Ma come si permette questo Junker di intromettersi nelle vicende politiche di casa nostra?
È quello che hanno detto in coro, con sfumature diverse, tutti i politici italiani, fatta eccezione per Emma Bonino, che riconosce come «non stiamo facendo una bella figura». Le cito a mo’ di panino da servizio del tg: per Gentiloni «Tranquillizzerò Juncker, il voto non sarà un salto nel buio. E comunque, i governi sono tutti operativi»; Di Maio sostiene che «Juncker finge di ignorare che la causa dell’incertezza sull’esito finale del voto italiano è da attribuire ai suoi alleati Berlusconi e Renzi»; per Brunetta «Juncker appare confuso e non affronta in alcun modo lo stallo politico tedesco», ecc. In piena campagna elettorale, è stata un’occasione troppo ghiotta per attaccare un superburocrate europeo e alimentare così la diffidenza verso Bruxelles, una diffidenza per la verità cavalcata soprattutto da M5s e Lega. Eppure a me le parole di Juncker sono sembrate sì maldestre, ma non così scandalose...  

Perché?
In uno scenario politico ed economico così globalizzato, soprattutto per quanto riguarda l’Unione europea, non vedo niente di straordinario nel fatto che il presidente della Commissione europea esprima le proprie preoccupazioni per il destino politico di uno dei suoi stati membri. D’altra parte per settimane si è discusso apertamente anche a Bruxelles dell’empasse politica tedesca seguìta alle ultime elezioni e delle eventuali ricadute su tutta l’Unione. Non mi pare che dalla Germania si siano levate grida indignate da parte di Merkel o Schulz. Mi sembra invece comprensibile che i vertici dell’Ue sperino da noi nella vittoria di una forza o di una coalizione europeista o in alternativa, in un governo di larghe intese in stile tedesco. Di sicuro i modi e toni di Juncker sono stati inappropriati, ma le vere ingerenze sul nostro voto secondo me sono altre.  

• Quali?
Ad esempio quelle dei grandi fondi speculativi americani Bridgewater, Aqr e Marshall Wace che giocano al ribasso sulle elezioni italiane. A inizio mese hanno scommesso quattro miliardi (vendendo azioni) su un risultato elettorale che blocchi il paese e provochi il crollo nelle quotazioni delle nostre imprese. Questi fondi ipotizzano una deriva sovranista del futuro governo, con fatali conseguenze sulla tenuta dei Btp o sulla permanenza del paese nell’euro. Il ministro dell’Economia Padoan si è affrettato a dire di «non vedere speculazioni sui mercati», intanto sono state pesanti le puntate su questo scenario con il meccanismo delle vendite allo scoperto, quello per cui si prendono in prestito azioni per riacquistarle tempo dopo, lucrando sulla differenza se i prezzi sono intanto scesi. Tre settimane fa i 300 maggiori fondi alternativi (hedge) sono appena stati ospiti di Morgan Stanley a Palm Beach, per l’annuale conferenza Breakers. Chi ci è stato ha parlato di un clima di estrema cautela sull’Italia. Ad esempio Davide Serra, a capo del fondo Algebris e renziano della prima ora, ha scritto sul suo profilo Twitter: «Alla conferenza di Morgan Stanley una sola domanda su Italia: ha avuto crescita e creazione lavoro mai visti ultimi 20 anni, continuerà o torna immobilismo ed economia collassa? Rimane nell’euro o Lega e M5S ci portano fuori?».