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 2017  dicembre 14 Giovedì calendario

L’angoscia di fare i conti con Medea

Il suo nome torna ogni volta che in qualunque parte del mondo una donna uccide i propri figli per vendicarsi di un abbandono: è Medea. Questa è infatti l’immagine di lei che Euripide presentò agli spettatori quando, nel 431 a.C., ad Atene, mise in scena la sua storia. Ma le fonti e le infinite rivisitazioni del suo mito ce ne hanno presentate anche tante altre. Ed è a queste altre (accanto a quella ormai canonica euripidea) che è dedicato il libro Il mito di Medea. Immagini e racconti dalla Grecia a oggi (Einaudi, pagine 321, e 30), nel quale Giuseppe Pucci (al termine di un bellissimo racconto di Maurizio Bettini in cui è Medea stessa a raccontare la sua storia) ci descrive le vicende delle «figlicide», che – semplificando al massimo il discorso – cercheremo di illustrare partendo dal giorno in cui nella lontana Colchide (più o meno l’attuale Georgia) giunse Giasone, l’eroe ateniese che doveva riportare in Grecia il Vello d’Oro (magica pelle di un animale dal manto d’oro, appunto). Non appena lo vide Medea, figlia del locale re Eeta, se ne innamorò e, dopo averlo aiutato a compiere l’impresa altrimenti impossibile, lo seguì nella sua fuga alla volta della Grecia, stanziandosi a Corinto con lui e i due figli nati dalla loro unione. Fino al giorno in cui venne a sapere che Giasone stava per sposare la figlia del re del luogo, per ordine del quale lei avrebbe dovuto abbandonare Corinto insieme ai figli. E, dopo un inutile confronto con il vile e tronfio Giasone, organizzò la vendetta, uccidendo la rivale e quindi i propri figli. 
Ma lo abbiamo detto, accanto a quella vendicativa euripidea ci sono molte altre Medee. Per cominciare, c’è la maga straniera, capace di crimini efferati come l’uccisione del fratello Assirto, che l’aveva seguita nella fuga verso la Grecia: dopo averne fatto a brani il cadavere, Medea ne aveva gettato in mare i pezzi uno alla volta, costringendo il padre che li inseguiva a fermarsi per raccoglierli: così aveva salvato la sua vita e quella di Giasone. Non meno atroce la morte escogitata per eliminare il vecchio Pelia, zio di Giasone. Temendo che questi volesse attentare alla vita del nipote, Medea aveva convinto le sue figlie a immergerlo in un calderone di acqua bollente in cui aveva gettato delle erbe magiche, grazie alle quali Pelia sarebbe ringiovanito: e Pelia era morto bollito. Ma c’è anche un’ulteriore Medea: la profuga giunta da un Paese dai costumi diversi, alla quale si attribuivano tutti i possibili crimini, l’esule che nessuno accoglieva, che non aveva un Paese dove crescere i figli e che li uccide per risparmiar loro la vita che li avrebbe aspettati se fossero vissuti. 
Non meno importante della prima, e non meno appassionante, la seconda parte del libro dedicata a «la Medea dei moderni» nella letteratura e nel teatro, nell’opera e nel cinema, dalla quale Medea emerge come il personaggio tragico che forse meglio di ogni altro si è prestato a rappresentare la tragedia di qualunque discriminazione e ingiustizia, da quella di genere a quella politica, da quella economica a quella etnica.
A seguire, dopo le indicazioni iconografiche, troviamo un capitolo conclusivo sul «complesso di Medea», che tratteggia le diverse interpretazioni psicoanalitiche in materia e si conclude con la considerazione che «come che sia, se empatizzare con Medea è difficile, se non impossibile, dobbiamo pur sempre attrezzarci per conviverci, perché, lo vogliamo o no, le madri assassine sono intorno a noi». Da sempre, ben prima di Euripide: «Ma da duemilacinquecento anni, grazie a lui, siamo costretti a guardare in faccia quel fantasma, per fare i conti con le angosce che esso ci dà». Che altro dire se non che questo è un libro che vale veramente la pena di leggere?