Corriere della Sera, 14 dicembre 2017
Sos di Bank of England. Produttività in crisi per colpa dei telefonini
Sembra impossibile che sia esistito un tempo nelle vite adulte dei baby boomer di oggi in cui si passavano intere giornate senza irruzioni. Le telefonate ci raggiungevano a casa o in ufficio, la posta nella cassetta delle lettere, mentre finestre sul mondo come i programmi di chat o i social network erano semplicemente impensabili. L’uomo comune attraversava le sue giornate in una parvenza di continuità dei suoi pensieri. Questo era il mondo prima degli smartphone, naturalmente. Dal Duemila le loro vendite annue sono passate da zero a 1,5 miliardi di pezzi l’anno. Cosa significhi questo per il nostro stile di vita è calcolato in un recente studio di Michael Winnick: un campione di un centinaio di persone mostra che ciascuna tocca o manovra lo schermo del proprio smartphone 2.617 volte al giorno in media, quasi un milione di volte l’anno. Le persone più legate al proprio telefono gli dedicano in media tre ore e 45 minuti al giorno; gli altri appena più di due ore e mezzo, in 76 sessioni separate. Facebook cattura il 15% di questo tempo, i messaggi l’11%, Gmail il 3%, Twitter l’1%. Che effetto produca questo esercizio impercettibile ma costante, non è difficile da intuire: una «crisi dell’attenzione». Prima per le continue interruzioni, poi anche per l’abitudine del cervello a ricercarle e dipenderne anche quando non le subisce. È la tesi di un recente articolo dell’economista Dan Nixon della Bank of England. Nixon sospetta che il recente rallentamento della produttività nelle economie mature sia collegato proprio all’esplosione dell’uso degli smartphone e alle continue distrazioni che impongono nella vita lavorativa. È possibile che abbia ragione. È anche possibile che la Bank of England, prima della caotica democrazia imposta dalla Rete, si fosse illusa che il suo monopolio sui dati e la conoscenza fosse inattaccabile per davvero.