Corriere della Sera, 12 dicembre 2017
La Ue: Gerusalemme anche palestinese. Putin in Siria avvia il ritiro delle truppe
Una frenetica giornata di diplomazia mediorientale a tutto campo. Con il premier israeliano Benjamin Netanyahu a Bruxelles, il presidente palestinese Abu Mazen al Cairo e Istanbul, Vladimir Putin impegnato in un giro di campo a braccia alzate tra Damasco, Egitto e Turchia, per proclamare «missione compiuta» in Siria e profilarsi come arbitro della pace prossima ventura.
Come in una commedia di Ionesco, dove si parla senza interloquire, Netanyahu e Federica Mogherini hanno confermato la distanza scavata tra Europa e Israele dalla decisione di Donald Trump di riconoscere anche nei fatti Gerusalemme come capitale dello Stato ebraico.
«Credo che anche la maggior parte dei Paesi della Ue finirà per trasferire la propria ambasciata a Gerusalemme, che da 3 mila anni è la capitale del popolo ebraico», ha detto il primo ministro, secondo il quale «solo riconoscendo la realtà dei fatti», come ha fatto il presidente americano, si può dare una base solida alla pace. «Può aspettarselo da altri Paesi, perché da quelli della Ue questo gesto non verrà – ha replicato seccamente l’Alto rappresentante —, per noi la sola soluzione realistica al conflitto israelo-palestinese è basata sui due Stati con Gerusalemme capitale di entrambi». L’Europa, ha aggiunto Mogherini, «continuerà a rispettare il consenso internazionale» sullo status di Gerusalemme, fino a quando esso non sarà risolto «attraverso negoziati diretti tra le due parti». Mogherini è stata però molto netta nel «condannare tutti gli attacchi contro gli ebrei, ovunque nel mondo, compreso in Europa, contro Israele e i suoi cittadini», riferendosi anche all’ondata di attentati e manifestazioni antisemite registrati negli ultimi giorni. L’attesa degli europei è ora per l’annunciata iniziativa di pace americana, di cui ancora si ha traccia. «Sia la prospettiva che la cornice non sembrano ancora a punto». ha commentato Mogherini. Mentre il ministro degli Esteri francese, Jean-Yves Le Drian, ha detto che, se Washington non tirasse fuori una proposta concreta «forse toccherebbe alla Ue prendere l’iniziativa».
Nel tentativo di consolidare un fronte regionale contro la decisione della Casa Bianca su Gerusalemme, il leader palestinese Abu Mazen era ieri al Cairo, dove ha incontrato sia il presidente Al Sisi, in passato mediatore decisivo tra israeliani e palestinesi, che il capo della Lega araba. In serata, Abu Mazen è arrivato ad Ankara per un colloquio con Erdogan, che in questi giorni è stato forse il più duro dei leader islamici contro l’annunciato trasferimento dell’ambasciata Usa. Oltre le parole di condanna, i palestinesi si aspettano, però, misure diplomatiche concrete dai Paesi «fratelli».
Nel Medio Oriente in subbuglio, è arrivato ieri anche Vladimir Putin, che si vuole nuovo «playmaker» dell’ordine regionale. Prima tappa a Damasco per incontrare il suo protetto Assad e poi visita a sorpresa nella base militare russa di Latakia, dove il leader del Cremlino ha dichiarato «chiusa» la missione di guerra siriana con la vittoria sull’Isis, annunciando il prossimo ridimensionamento (non il ritiro) del dispositivo militare russo dal Paese: «La madre patria è fiera di voi», ha detto ai soldati Putin, che è poi ripartito alla volta del Cairo e di Istanbul. Con Sisi, il presidente russo ha parlato anche della Libia, confermando il ruolo ambito da Mosca nella stabilizzazione del Paese. Con Erdogan, l’ex nemico ora alleato, il tema centrale è stato di nuovo la Siria: «Spero che insieme a Turchia e Iran si possa riportare la pace e lanciare un processo politico per stabilizzare la situazione».