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 2017  dicembre 12 Martedì calendario

In morte di Antonio Riboldi, «vescovo di strada»

Tornerà oggi nella sua Acerra il vescovo emerito Antonio Riboldi morto all’età di 94 anni domenica scorsa a Stresa nella casa dei padri rosminiani, congregazione di cui faceva parte. La sua salma, infatti, sarà esposta oggi dalle 16 alle 21 nella Cattedrale di Acerra, per l’omaggio dei fedeli della diocesi che ha guidato dal 9 aprile 1978 fino al 7 dicembre 1999, quando Giovanni Paolo II accettò le sue dimissioni per il compimento dei 75 anni d’età. E sempre nella Cattedrale della diocesi campana domani alle 15 il vescovo Antonio Di Donna presiederà i funerali del suo predecessore, che poi sarà sepolto nella stessa chiesa. Ma non è solo la Chiesa di Acerra a piangere monsignor Riboldi, ma l’Italia intera. Se ne è fatto interprete lo stesso presidente della Repubblica Sergio Mattarella che ha ricordato «l’impegno del vescovo scomparso in favore della solidarietà sociale e dell’impegno per la legalità in aperto e coinvolgente contrasto con la criminalità organizzata». Un ricordo ripreso anche a dal presidente della Camera Laura Boldrini, mentre l’arcivescovo di Milano, Mario Delpini parla di «gratitudine» per aver servito il Signore «riconoscendolo nei poveri e negli oppressi». Il nome di Antonio Riboldi resterà nella storia del nostro Paese non solo per la sua battaglia anticamorra ai tempi del suo magistero in terra campana, ma anche per la sua opera di semplice sacerdote in terra siciliana, in particolare nella Valle del Belice devastata dal terremoto nella notte del 15 gennaio 1968. Anche in quel caso don Antonio, come molti hanno continuato a chiamarlo, si fece voce dei terremotati per cercare di ottenere attenzione dalle autorità dello Stato. La storia personale di monsignor Riboldi, inizia, però, in terra ambrosiana, per la precisione a Tregasio, frazione di Triuggio, allora in provincia di Milano, il 16 gennaio 1923. È il terzogenito dei sette figli di Attilio Riboldi e Emilia Sala. La sua vocazione, come ha raccontato lo stesso don Riboldi, si manifesta il 28 aprile 1931 quando riceve la Cresima dall’arcivescovo di Milano, il cardinale Ildefonso Schuster. «Fu proprio lui a chiedermi se volevo essere prete – ricordava Riboldi –. Una domanda che presi sul serio». Ma non sarà facile dare attuazione a questo proposito, visto le difficoltà economiche che la famiglia attraversava. Solo a fine settembre 1935, grazie anche all’aiuto del suo parroco, entra nell’Aspirantato rosminiano di Pusiano (Como). «La mia gioia si eclissò appena vidi allontanarsi papà e mamma – raccontava ripensando a quei giorni –. Ci vollero quindici gior- ni perché riuscissi a scrivere una lettera in cui con il cuore a pezzi dicevo di trovarmi bene». Eppure quel periodo di formazione resterà nel cuore di Riboldi: «Ne conservo a distanza di anni un meraviglioso ricordo». Il percorso verso il Sacerdozio si corona il 29 giugno 1951 con l’ordinazione a Novara e l’inizio di un impegno che lo porterà in diverse case rosminiane, fino al 15 agosto 1958 quando viene destinato alla parrocchia di Santa Ninfa nel Belice in Sicilia. Seguiranno dieci anni nei quali don Riboldi riuscirà a cambiare il volto di questa comunità, anche realizzando nuove strutture. Un cammino che si interrompe il 15 gennaio 1968 quando Santa Ninfa viene distrutta dal terremoto. Don Riboldi, scampato come i suoi confratelli al sisma, sarà sempre al fianco dei suoi parrocchiani, condividendone dolore, disagi e frustrazioni. Nel Natale 1975 fa scrivere a 700 bambini del Belice una lettera di denuncia delle condizioni di vita a 7 anni dal sisma, a Paolo VI, al presidente della Repubblica Giovanni Leone e ai presidenti delle Camere Giovanni Spagnoli e Sandro Pertini. Un atto dirompente che lo farà diventare «la voce del Belice». E qualcuno lo ribattezzerà con l’appellativo di «don Terremoto». La sua passione per la comunità affidatagli non passa inosservata nella Chiesa. Proprio Paolo VI il 25 febbraio 1978 lo nomina vescovo di Acerra, altra terra difficile messa alla prova dalla camorra. Inizia qui il suo nuovo impegno per la giustizia e la legalità, forte anche di quanto fatto in terra siciliana. Un magistero scomodo, svolto spesso «per strada», perché contro la camorra occorre metterci la faccia. Storica la marcia a Ottaviano nella terra del boss Raffaele Cutolo. Nascono così i Convegni diocesani annuali «per ridare speranza al clero, radunare i laici, camminare insieme». E non manca l’attenzione alla «formazione dei laici al sociale e al politico » oltre che degli «operatori culturali». Anni intensi – non privi di rischi e minacce – che hanno segnato profondamente la Chiesa di Acerra, ma che ebbe vasta eco anche in tutto il Paese, intrecciando la sua lotta contro la camorra con altre figure impegnate per la difesa della legalità, come il capo del pool antimafia di Palermo Antonino Caponnetto. Il 7 dicembre 1999, a quasi 77 anni, il Papa ne accetta le dimissioni dalla guida della Chiesa di Acerra, dove resterà ritirandosi in un convento domenicano, operando nel nascondimento in favore di molte missioni nel mondo. Dalla scorsa estate era a Stresa. Ora torna nella sua Acerra, a cui lascia in eredità una grande testimonianza di vita vissuta alla luce del Vangelo.