Avvenire, 8 dicembre 2017
Hamas lancia la nuova Intifada
Lo scoppio secco delle pallottole di gomma è risuonato in mattinata a Betlemme, mentre dai blindati dell’esercito di Israele partivano i lacrimogeni e il getto degli idranti. Tensione, verso mezzogiorno, pure alla porta di Damasco, a Gerusalemme, per una manifestazione di protesta: decine di giovani palestinesi si sono inginocchiati di fronte all’ingresso alla città vecchia e, dopo aver pregato, hanno urlato slogan contro Trump. La rabbia palestinese, nel giorno dello sciopero generale in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, è subito esplosa, spontanea. A Hebron e al-Bireh, in Cisgiordania, migliaia di persone hanno manifestato scandendo lo slogan «Gerusalemme è la capitale dello Stato di Palestina». Nella Striscia di Gaza, alcuni dimostranti si sono radunati vicino alla barriera che segna il confine con Israele lanciando sassi contro i soldati. Scontri pure a Nablus, Tulkarm, Qalqiliya e a Jenin e a Ramallah, in Cisgiordania. Ieri sera i siti israeliani rilanciavano un bilancio di oltre 160 palestinesi feriti o intossicati dai gas lacrimogeni. Una premessa alla “Giornata della collera”, proclamata per oggi da Hamas che ha chiesto una «nuova Intifada contro l’occupazione e contro il nemico sionista». In diretta su al-Aqsa tvil leader Ismail Haniyeh ha definito il riconoscimento di Gerusalemme capitale di Israele da parte del presidente statunitense Donalad Trump una «dichiarazione di guerra». A 30 anni dall’inizio della prima Intifada – la “rivolta delle pietre” scoppiata il 9 dicembre del 1987 – Haniyeh ha chiamato alla «lotta popolare generale». Il leader estremista ha poi lanciato un nuovo appello ad al-Fatah, il partito del presidente Abu Mazen, perché esca «dal tunnel degli accordi di Oslo», cessi la cooperazione di sicurezza con Israele e cementi l’unità nazionale palestinese.
Una rivolta già pericolosamente innescata con Tsahal, l’esercito israeliano, che ieri ha spostato truppe di rinforzo negli insediamenti occupati in Cisgiordania. A sera le sirene sono tornate a suonare dopo che almeno un paio di razzi, provenienti dalla Striscia di Gaza, sono caduti sul territorio di Israele senza colpire nessuna località. Poi, all’inizio della notte, i tank israeliani hanno sparato colpendo postazioni di Hamas nella parte centrale della Striscia di Gaza.
L’annuncio su Gerusalemme, mercoledì, del presidente Usa, ha pure innescato un effetto domino di reazioni politiche. Una decisione, ha affermato il premier israeliano BenjaminNetanyahu, per cui Donald Trump «è entrato per sempre nella storia» di Gerusalemme. Un passo che potrebbero essere presto seguito da altri Paesi, con «molte altre ambasciate si trasferiranno» a Gerusalemme, ha affermato Netanyahu. Un primo segnale in questo senso dal presidente filippino Rodrigo Duterte che sarebbe interessato a trasferire l’ambasciata del suo Paese da Tel Aviv a Gerusalemme. La Repubblica Ceca, che ha riconosciuto Gerusalemme ovest come capitale di Israele non intende per ora spostare la sua ambasciata, situata nel centro di Tel Aviv. Praga, precisa una nota, «considera Gerusalemme la futura capitale di due Stati, lo Stato di Israele e quello di Palestina».
In subbuglio tutto il mondo arabo. Il presidente palestinese Abu Mazen ieri pomeriggio ad Amman ha incontrato re Abdallah che ha assicurato il suo appoggio al leader dell’Autorità Nazionale Palestinese. La decisione di Trump, ha affermato una nota ufficiale di Amman, rischia di avere «ripercussioni pericolose e di ferire i sentimenti di musulmani e di cristiani nel mondo arabo ed islamico». L’Arabia Saudita ha bollato come «irresponsabile» la decisione del presidente Usa. In una nota la monarchia saudita ha espresso «profondo rammarico» ammonendo per le «serie conseguenze di una mossa così ingiustificata».
L’annuncio di Trump ha subito compattato il fronte jihadista. Il Daesh in un video invita tutti i musulmani a «riportare il terrore su Israele attraverso esplosioni, incendi e accoltellamenti» e a «uccidere gli ebrei in ogni modo possibile». L’Aqap, ramo di al-Qaeda nella penisola arabica, ha chiesto ai «musulmani di sostenere i combattenti palestinesi» su Gerusalemme mentre dall’Afghanistan i taleban hanno definito l’iniziativa di Trump un «passo sconsiderato».
Molto attivo pure il presidente turco, Recep Tayyp Erdogan, che ieri ha telefonato a papa Francesco. Erdogan, secondo fonti turche, avrebbe espresso al Papa il suo apprezzamento per le dichiarazioni di Jorge Bergoglio che durante l’udienza di mercoledì aveva sottolineato l’importanza che sia rispettato lo «status quo» della Città santa. Una «profonda preoccupazione» condivisa dal cardinale Edwin O’Brien, gran maestro dell’Ordine del Santo Sepolcro di Gerusalemme, ed ex arcivescovo di Baltimora. Erdogan, rivelano fonti di Ankara, ha espresso «massima preoccupazione» per la situazione anche al presidente russo Vladimir Putin. È prevista per oggi una riunione d’urgenza del Consiglio di Sicurezza richiesta da Francia, Bolivia, Egitto, Italia, Senegal, Svezia, Regno Unito ed Uruguay. La terza Intifada sembra già iniziata.