Corriere della Sera, 8 dicembre 2017
Matrimonio all’italiana. Nella collezione dei coniugi Wurts l’appartenenza (estetica) al paese
«George Washington e la sua moglie Henriette Tower si erano adagiati a Palazzo Antici Mattei, che essi trasformarono in una serra di fiori e di oggetti preziosi, dalla quale si allontanavano di rado nel mese di maggio, per convitare il gran mondo del tempo nella Villa Sciarra al Gianicolo, che essi avevano acquistato e ripristinato nel suo splendore cinquecentesco».
A raccontare la vita romana di George Washington Wurts e della seconda moglie Henriette fu George Nelson Page, lontano parente della coppia e frequentatore delle loro case-museo. Dopo la scomparsa dei coniugi, Page descrisse nel libro «L’americano di Roma» la loro frenetica vita sociale e la sterminata collezione di opere d’arte e di oggetti vari raccolta da Wurts in Europa e in Oriente nei trent’anni di carriera come diplomatico.
George e Henrietta provenivano da Filadelfia, entrambi da ricchissime famiglie. Si stabilirono definitivamente a Roma nel 1893. Affittarono il primo piano di Palazzo Antici Mattei e nel 1902 acquistarono, salvandola dalla lottizzazione, la villa con parco sul Gianicolo dalla Società di credito e industria edilizia, a cui l’aveva ceduta Maffeo II Barberini Colonna di Sciarra a corto di soldi. D’inverno ricevevano a palazzo, dove le pareti della camera da pranzo erano stipate da pezzi di argenteria antica e la tavola imbandita con posate d’oro massiccio. Gli ospiti vi arrivavano già storditi dal corridoio lungo una ventina di metri, con le pareti stipate di armature in argento cesellato, e dalla fila di saloni foderati di arazzi, quadri, tappeti.
Ovunque in bella mostra un fasto smisurato, un arredamento ridondante, dove si affastellavano oggetti di ogni tipo: orologi inglesi e francesi, lapislazzuli e balalaike, sculture in marmo e porcellane, antiche statue lignee e merletti di Burano, sedie a dondolo che sembrano uscite da un film western, bronzetti raffiguranti ussari a cavallo e Tolstoj al tavolo di lavoro, paraventi laccati e incensieri, angeli di cartapesta fra le trine del letto a baldacchino, volpi e orsi impagliati. Molti di questi oggetti si riconoscono nelle foto d’epoca delle stanze: sono disposti secondo un criterio di horror vacui, tipico di molte collezioni di quegli anni, che venivano assemblate non solo in base al valore artistico dei pezzi ma alla loro capacità di arredare la casa raccontando la biografia dei proprietari.
Page, che narrò la vita dei Wurts con ammirazione mista a ferocia, ha tramandato un ritratto di George come «uomo di mediocre intelligenza, vano e scontroso, ma provvisto di doti artistiche che lo rendevano un fine intenditore di musica, di pittura e di oggetti antichi». E di Henriette come «una vecchia zitella che accomunava una bruttezza proverbiale a una vistosa rendita che la poneva tra le più ricche ereditiere perfino in America. Goffa nel vestire, sgraziata nel parlare, capace di dire le cose più imbarazzanti su ogni argomento a chiunque». A vederla in una vecchia foto accanto al marito non sembra poi così vecchia, né brutta, né goffa.
Indossa un abito in velluto ricamato, il corsetto intessuto di perle, il vitino di vespa e in testa una corona di diamanti sormontata da un pennacchio. Il perfido Page infierisce: «Eretta in tanta gloria, la padrona di casa (subìta la quotidiana predica maritale sul contegno da tenere, cui facevano seguito invariabilmente, alla fine della giornata, corrispondenti ed aspre rampogne per il contegno tenuto) si presentava agli ospiti illustri coperta di gioie meravigliose, ma simile a una Erinni infuocata sotto la parrucca rossastra e, biascicate le uniche quattro parole di francese che mai sia riuscita ad apprendere, “Charmée de vous voir“, dava a guisa di saluto uno spintone a chi si avanzava per complimentarla».
Wurts morì nel 1928, Henrietta nel 1933 lasciando in eredità al governo italiano la collezione di Palazzo Antici Mattei. Villa Sciarra l’aveva già regalata tre anni prima, con l’aggiunta di 50 mila dollari per la sua manutenzione, Nell’atto notarile fece scrivere la condizione tassativa: che tutto il terreno della villa fosse per sempre destinato a parco pubblico per i romani. Duemila anni prima, la stessa area era stata donata al popolo da Giulio Cesare, che qui aveva una parte delle sue vaste proprietà, i cosiddetti Horti Caesaris.