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 2017  dicembre 08 Venerdì calendario

Il ghiaccio è l’unico amore di Carolina Kostner

«E poi mi chiedo: chi sono adesso?». Il ghiaccio sotto i pattini, che riflette l’immagine di Carolina Kostner come uno specchio ormai da tre lustri, non è mai stato così incandescente. A quest’ora, attempata trentenne nel parco giochi delle bambine russe e giapponesi, veterana con la valigia stracolma di viaggi intercontinentali e medaglie (un oro mondiale, cinque europei, il sospirato bronzo di Sochi 2014 – che era, come minimo, un argento scippatole da una giuria indaffaratissima ad incoronare l’atleta di casa, Adelina Sotnikova —, più tutto il resto), poteva essere rannicchiata davanti al caminetto di Ortisei, tra i canederli di mamma Patrizia e i motti in ladino della zia Margherita, presidentessa onoraria del fan club, con un gatto chiamato pattinaggio accoccolato ai piedi, intento a fare le fusa.
E invece eccola qui, straordinaria protagonista della finale del Grand Prix a Nagoya – oggi il corto, domani il libero – dopo quattro anni di assenza per motivi di forza maggiore (16 mesi di squalifica, diventati 21 davanti al Tas di Losanna, per «complicità» nel caso doping dell’ex fidanzato marciatore Alex Schwazer: una storiaccia, di cui non vuole più parlare, che l’ha piegata senza spezzarla), ruggente con grazia e ringhiante con garbo, molto meno eterea di come la leggenda della patinoire l’abbia tramandata ai posteri perché solo chi è fatto di carne, sangue, anima e cuore può reagire agli sgambetti dell’esistenza con la capacità di resilienza di Carolina Kostner dalla Val Gardena, Italy, e rimettersi in piedi su lame larghe due centimetri, pronta per un triplo Axel. «Non mi piace paragonare i periodi, la vecchia me stessa e quella attuale – spiega con occhi bistrati da cerbiatta mannara —. Piuttosto mi piace domandarmi: chi sono oggi? Posso ancora migliorare nel mio sport, che amo come il primo giorno? Non sono più la pattinatrice di quattro anni fa ai Giochi di Sochi ma so che la gioia che provo quando pattino è esattamente la stessa». Archiviato il weekend in Giappone – dove in assenza della fuoriclasse russa infortunata Evgenia Medvedeva, 18enne moscovita imbattuta dal 2015, diventa la favorita d’obbligo (la ritroverà, come atleta neutrale dopo il bando della Russia dal parte del Cio, in Corea: «Ogni esclusione per doping è una sconfitta per lo sport») —, espletata la formalità dei Campionati italiani, Carolina farà rotta verso l’ennesimo Europeo e, soprattutto, la quarta Olimpiade. A Torino, dodici anni fa, quando fu scelta portabandiera dal Coni, era una bambina. A Pyeongchang, il prossimo febbraio, sarà il totem di un’Italia che le chiede un altro miracolo, l’ultimo. «Mi sento carica come una teenager, piena di fiducia nei miei mezzi. Ho una forza interiore che una volta non avevo. Sui salti, non lo nego, c’è sempre un po’ di paura: ci riesco? Non ci riesco? La garanzia che vada tutto bene, sul ghiaccio, non c’è mai».
Un’italiana a San PietroburgoGli esercizi per la stagione olimpica, «Ne me quitte pas» per il corto («È la versione di Celine Dion, una donna adulta che ha vissuto emozioni forti: parte la musica e mi viene subito voglia di condividerla con il pubblico») e «Prélude à l’après-midi d’un faune» di Debussy per il lungo («L’anno scorso mi ero sentita rinforzata dalla Messa di Vivaldi ma mi serviva un cambiamento»), li ha scelti con la storica coreografa Lori Nichol e il nuovo coach Alexei Mishin, già mentore di Plushenko, il guru del pattinaggio per il quale ha deciso di trasferirsi a San Pietroburgo. Primo giorno di lezione con il maestro: «Mishin chiama un bambino russo della scuola e gli dice: Sergei fai vedere a Carolina come si salta…». Un ritorno alle origini, all’essenza della professione. Un viaggio a ritroso dentro se stessa. «Cambiare ambiente è stato importante. Sono uscita dalla mia zona di conforto e ho scoperto di me cose che non sapevo».
Quindici anni sul ghiaccio, senza mai rischiare il congelamento interiore. Tra trionfi (l’oro di Nizza 2012, la primavera più dolce) e clamorosi tonfi (Vancouver 2010, quando l’allora presidente del Coni Petrucci la fulminò: «Forse non è una campionessa»), tra sorrisi dipinti di rossetto rosso da combattimento e pianti a dirotto, tra strepitosi voli pindarici e delusioni mortali (il tradimento con il doping di Schwazer, che speriamo non ne abbia incrinato la fiducia nel potere taumaturgico dell’amore), Carolina non ha mai perso per strada un’umanità poco espansiva però autentica, a costo di esporsi al mondo con il rimmel nero che cola dalle ciglia. «Ci sono giornate in cui non hai voglia. Di alzarti dal letto, di allacciare stretti i pattini, di allenarti al freddo. Le amiche ti scrivono dalla spiaggia: hei, che fai? Sto qui nel frigorifero, rispondo. Però faccio quello che mi piace: mi sento una privilegiata».
Arriverà fino a marzo, al Mondiale di Milano («Voglio salire sulle guglie del Duomo e andare alla Scala. Ci sono entrata una volta sola, anni fa, in una mattina senza prove né concerti: mi sono seduta in poltrona, sola, a immaginare...»), poi chissà. Avrà 31 anni suonati.
Pura gioia dopo i dubbiQuando capirai che è il momento di smettere? «Seguirò il consiglio di mamma: fallo finché ti piace, quando il dolore sarà più grande del piacere ringrazia con un inchino e saluta». Ecco perché rivedersi nelle piccole allieve di Mishin è commovente: «In pista mi osservano con questi occhioni grandissimi e rotondi che dicono: cosa ci aspetta, là fuori? Mi ricordano me stessa 12enne in Germania, quando lasciai Ortisei per il collegio di Oberstdorf. Inseguivo il sogno del pattinaggio: volevo allenarmi tutti i giorni, a tutte le ore, ero inseparabile dal ghiaccio».
Basta indecisioni, gambe che tremano, dubbi esistenziali. Ogni esibizione, ora, è pura gioia. La nuova Kostner non soffre più di vertigine bianca. «Mi stacco da terra. Giro tre volte. Atterro su un piede. Se cado, pazienza. Sono felicissima di vivere un’altra Olimpiade a questa età: con mille difficoltà in più, certo, ma anche con consapevolezza. Da giovane saltavo come le ragazzine moderne. Poi il corpo cambia, fai esperienza, vivi la vita, possibilmente accettando anche quello che di cattivo ti manda. E arrivi ad essere quello che sei oggi».
Sei diventata filosofa, Carolina. Ride a occhi chiusi, finalmente senza la maschera di scena: «In fondo, lo sono sempre stata».