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 2017  dicembre 07 Giovedì calendario

Trump è andato avanti su Gerusalemme, è un passo per la pace come sostiene lui?

Dobbiamo continuare a occuparci di Israele e della scelta ufficializzata (in diretta tv con un brevissimo discorso) da Donald Trump di trasferire l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme, perché sulla questione sono intervenute Iran e Turchia, e si tratta di interventi preoccupanti.

• Che cosa hanno detto?
Cominciamo dall’Iran. Ecco la dichiarazione di Ali Khamenei, la guida suprema: «(La dichiarazione americana è un) segno di incompetenza e fallimento. La Palestina sarà libera e i palestinesi vinceranno». Il presidente Rohani, che di solito passa per un moderato: «Non tollereremo una violazione dei luoghi santi musulmani». Ecco la posizione dei turchi. Bekir Bozdag, il vicepremier: «Questa scelta potrebbe far precipitare la regione in uno scontro senza fine». L’Onu critica la decisione e Hamas minaccia: «Aperte le porte dell’Inferno». Ha parlato anche il Papa, invitando a lasciare le cose come sono, cioè la città divisa con gli arabi a est e gli israeliani a ovest e le tre religioni padrone di pregare nei loro luoghi sacri, la Spianata per i musulmani, il Muro del Pianto per gli ebrei, la via Dolorosa per i cristiani. «Gerusalemme è una città unica — ha detto Francesco — sacra per gli ebrei, i cristiani e i musulmani, e ha una vocazione speciale per la pace».


• Molti speravano che Trump non prendesse una decisione tanto impegnativa in tempi così rapidi.
Era un punto di speranza. Finché non si annuncia ufficialmente la decisione, si può ancora negoziare e il presidente americano non è nuovo a qualche marcia a zig zag. E, in effetti, un annuncio in tv non è ancora un atto ufficiale. Ma il presidente ha accompagnato la cosa mostrando la firma su un documento con cui si riconosce formalmente Gerusalemme capitale e con il quale si conferma la deroga alla legge votata dal Congresso nel 1995. La deroga obbliga la Casa Bianca a traslocare l’ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme entro sei mesi. A Gaza già ieri erano state date alle fiamme bandiere americane e d’Israele. Ma lui ha deciso di tirare dritto, si è presentato nella Diplomatic reception room della Casa Bianca e ha detto: «È ora di riconoscere Gerusalemme come capitale dello Stato di Israele, è l’inizio di un nuovo approccio al conflitto israelo-palestinese (...) È una condizione necessaria per raggiungere la pace (...) Oggi riconosciamo l’ovvio: Gerusalemme è la capitale d’Israele». 


• E il premier israeliano Benjamin Netanyahu come mai sta zitto?
Se ci pensa, è normale che non parli o parli il meno possibile. Si tratta di non buttare benzina sul fuoco e soprattutto non serve assolutamente a niente parlare. Ieri Netanyahu s’è trovato in una conferenza stampa organizzata dal quotidiano Jerusalem Post, e i giornalisti, naturalmente, l’hanno pressato per strappargli qualche dichiarazione. Il massimo che hanno ottenuto è questo: «L’identità storica e nazionale di Israele sta ricevendo riconoscimento, soprattutto oggi». Su Netanyahu possiamo dire ancora quanto segue: l’idea dell’ambasciatore americano a Tel Aviv, avvocato David Friedman, secondo cui in Palestina ci vuole uno stato solo, e non due, guidato dagli israeliani è di sicuro condivisa da Netanyahu. L’anno scorso, proprio durante il transition period di Trump, il comune di Gerusalemme, di sicuro ispirato dal premier, ordinava di costruire 618 case nella parte orientale della città, quella araba, case destinate agli israeliani. Era una mossa coerente con la politica degli insediamenti, che Tel Aviv persegue tenacemente, quella di mandare coloni in terra palestinese e puntare agli effetti di lungo termine. In Cisgiordania è una pratica comune, i coloni recintano una proprietà, la coltivano, la fanno prosperare e la trasformano di fatto in un pezzo di Israele che cresce in territorio palestinese. La comunità internazionale non è d’accordo, ma di solito evita di pronunciarsi. Però sulla storia degli insediamenti a Gerusalemme Est, il consiglio di sicurezza dell’Onu si pronunciò e Obama, allora ancora in carica, lasciò che Israele venisse condannato per la sua politica degli insediamenti. Non era mai accaduto in passato. Con Donald Trump, tutto è cambiato. E non è l’unica modifica del quadro internazionale ad aver giocato in favore della radicalizzazione dello scontro.


• Che altro è successo?
C’è un uomo nuovo anche a Riad, cioè in Arabia Saudita, il principe Salman, quello che ha messo in galera quasi tutti i suoi parenti. Salman, a differenza dei suoi predecessori, è in buoni rapporti con Israele perché il suo nemico principale è l’Iran sciita, lo stesso di Netanyahu. Senza che alla cosa si desse troppa pubblicità, lo scorso ottobre il principe saudita è addirittura andato a trovare Netanyahu a Tel Aviv.


• E Trump ha anche denunciato il trattato sul nucleare di Barack Obama con gli iraniani...
Già. C’è un formidabile nemico che incoraggia la formazione di un fronte comune. Proprio l’Iran e la sua fede sciita.