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 2017  dicembre 05 Martedì calendario

Pozzi fuori uso e colera: in Yemen a rischio in 20 milioni di persone

Oltre ad essere devastato dalle bombe, lo Yemen è anche una terra in preda a fame, sete e colera. L’assedio imposta dalla coalizione a guida saudita blocca l’arrivo del carburante necessario per far funzionare i pozzi idrici mettendo a rischio la vita di 20 milioni di persone, fra cui 11 milioni di bambini. Secondo l’Unicef, 1,7 milioni di bambini soffrono di malnutrizione acuta, mentre 150mila bambini rischiano di morire di stenti.
Ancora ieri il coordinatore umanitario dell’Onu per lo Yemen, preoccupato per il livello di violenza a Sanaa, ha chiesto per oggi un’immediata tregua umanitaria dei combattimenti nella capitale. Dalla dichiarazione dello stato di epidemia di colera nel Paese, il 27 aprile scorso, sono state colpite più di 500mila persone, con oltre 2mila morti. Il collasso dei sistemi idrici e igienicosanitari ha tagliato fuori 14,5 milioni di yemeniti dall’accesso regolare all’acqua e ai servizi igienici. Nonostante l’epidemia sia stata circoscritta negli ultimi due mesi, Medici Senza Frontiere avverte che senza un aumento immediato degli aiu- ti e un approccio preventivo a livello comunitario, la gente continuerà a morire di questa malattia evitabile.
Identificare la malattia non è sufficiente a salvare gli abitanti dei villaggi, perché la maggior parte di loro non può permettersi di viaggiare per ricevere assistenza medica. «La struttura sanitaria più vicina dista diverse ore e il viaggio può costare fino a 60 dollari», dice Zayed al-Goidi, che abita in un villaggio nella valle dell’Osman, una delle zone più colpite dal colera. «Siamo poveri e non abbiamo quasi mezzi per vivere, come possiamo pagare così tanto? Per salvarci la vita dobbiamo impegnare le nostre proprietà: la terra e i gioielli delle nostre mogli». Il dottor Mohamed Musoke, coordinatore dell’emergenza di Msf per il colera, che ha raggiunto il villaggio dopo un viaggio di due ore e mezza è testimone di una situazione al limite della catastrofe. «Durante il tragitto – spiega – abbiamo attraversato un fiume, principale fonte d’acqua della comunità. Abbiamo visto animali abbeverarsi, gente che lavava i propri indumenti e madri che davano l’acqua da bere ai figli».