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 2017  dicembre 02 Sabato calendario

I rischi degli oggetti troppo «amici»

Giorni fa un creatore di app raccontava che dopo aver interagito con Alexa, l’assistente virtuale di Amazon, il figlio duenne ha iniziato a chiacchierare con i sottobicchieri. Non sensori, ma sensi: i bimbi di oggi, generazione Alfa, crescono pensando che gli oggetti siano umani. Ma anche noi che ricordiamo un mondo senza Internet ai gadget elettronici siamo sempre più attaccati, dando loro nomi e attribuendovi pensieri e sentimenti, come dimostra una serie di studi pubblicati dall’ Atlantic. Non è l’attaccamento del maschio alla sua auto, che era estensione della sua virilità, vera o presunta che fosse. Oggi parliamo ai nostri oggetti soprattutto perché ci sentiamo soli. Succede anche con il Roomba, ed elettrodomestici non dotati di parola. Davvero la macchinetta del caffè può essere un’amica? È noto, osserva Nicholas Epley, docente di Scienze comportamentali a Chicago, che la mancanza di contatti sociali porti a compensare con animali e cose: Tom Hanks che sull’isola deserta in Cast Away parla con il pallone Wilson. Oggi, lo studio «Prodotti come amici» spiega che interagire con gadget intelligenti mitiga gli effetti dell’esclusione sociale. E più li sentiamo vicini, più liberarsene è difficile. Tre persone su quattro bestemmiano all’indirizzo del pc, e più dà loro problemi, più sono inclini a attribuirvi una coscienza propria. Come gli amici, le macchine possono tradire (anche se non sembra, per il momento almeno, che possano diventare gelose come Christine – La macchina infernale). Ma tutto questo ha un prezzo, e siamo noi. Perché mentre appaiono alleviare la nostra solitudine, Alexa, Siri & C. dissuadono in realtà dal perseguire interazioni umane. Se a una persona sola dai un gadget intelligente, è il risultato dello studio, non sentirà il bisogno di cercare amici e familiari. Parli troppo con il Roomba ultimamente?