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 2017  dicembre 02 Sabato calendario

Cappotti. «Tocca il tessuto Incredibile, vero?»

Guardare e (rigorosa mente) toccare. Nell’archivio storico di Max Mara le regole dei divieti e degli obblighi sono diventati inviti, tassativi tanto quanto i primi. «Prendete, prendete pure in mano questo meraviglioso capo degli anni Venti. Volete un pe zzettino di quella stoffa? Li ci sono le forbici. E sentite qui: questi tessuti che peso. Incredibile eh?». Laura Lusuardi l’artefice di tutto questo apre le porte della memoria dell’azienda e della sua vita con quell’entusiasmo contagioso che hanno solo le persone nate per tramandare le storie consapevoli che così se ne potranno scrivere altre più grandi. 
Era il 1964 quando suo padre, proprietario di un negozio di stoffe a Guastalla, la portò, appena diplomata, dal cavalier Maramotti per imparare il mestiere. Una passione che l’ha condotta dove mai un genitore avrebbe immaginato: da ragazza di bottega a, prima, capo di un inconfondibile stile e, ora, custode dello stesso come artefice del progetto BAI (Biblioteca e Archivio di Impresa) nato nel 2003 in occasione dell’inaugurazione del Campus aziendale di Max Mara. Per sede uno storico edificio che è stato uno dei primi calzifici italiani (1910): 4 mila metri quadrati di archeologia industriale di grande fascino sviluppati su due torri e tre piani. «Dal primo giorno in cui misi piede qua dentro non ho mai gettato via nulla», dice Lusuardi con gli occhi che le brillano. Dove nulla sta per n-u-l-l-a: «Sedie e tappeti e armadi e lampade e ferri da stiro e macchine da scrivere e chissà che altro: ho riciclato ogni cosa», racconta indicando ogni angolo arredato. Di tutto quello che ha visto, toccato, sfiorato, amato, lei ha recuperato il recuperabile cercando nei magazzini o opponendosi al macero. Era scontato il lavoro su collezioni, schizzi, riviste, testi. Ma persino gli arredi! «Come potevo fare diversamente? Su questo grande tavolo – racconta indicando il bancone sul quale è allestito il pranzo—- ho trascorso anni a scegliere i tessuti». 
Il tour comincia presto e potrebbe non finire mai merito anche di una classificazione logica e nuova: ecco pareti di scatole stracolme di stoffe, altre di colori e poi di là corridoi e corridoi di abiti divisi per anno e al piano di sopra i guardaroba donati da clienti «importanti». Chiunque può entrare e «toccare», il che rende la storia della moda vive a vera. Il colpo d’occhio sul luogo dove sono conservati i mitici coats cammello è incredibile: dagli anni ‘50 ad oggi, passando dall’iconico 101801 all’ultimo il «teddy bear», sono tutti lì. Anzi non tutti: molti oggi sono «in trasferta» a Seul dove è stata inaugurata proprio in questi giorni l’omonima mostra itinerante («Coats») che racconta la storia di sessant’anni del gruppo ma in una nuova versione grazie anche al lavoro di recupero e classificazione. Con lo studio di architettura Migliore+Servetto nell’avveniristico spazio di DDP (Dongdaeum Design Plaza) di Zaha Hadid è stato sviluppato un racconto interattivo dell’heritage Max Mara. 
Sotto a una grande cupola ispirata ai lavori utopici di Etienne Louis Boulée sette stanze rappresentative fra realtà e immaginazione fra suoni, immagini, oggetti e, naturalmente, capi che danno vita a una sorta di rappresentazione teatrale, come nello spirito dell’Archivio. Ecco nella stanza (anni Cinquanta) dedicata al fondatore, Achille Maramotti, la sua scrivania con i suoi oggetti, anche personali; e poi «lo studio creativo» (gli anni Sessanta) con il cappotto democratico e i designer che hanno collaborato (anni Sessanta); «Colorama» cioè i colori e l’arte e la sperimentazione (anni Settanta); «L’icona» rappresentativa del saper fare italiano (gli anni Ottanta); «Il set fotografico» e le collaborazioni con i grandi fotografi (anni Novanta);«le donne di Max Mara» con un viaggio nell’universo femminile della maison (anni Duemila); infine «The fashion show» e un back-stage vivo (l’ultimo decennio).