Corriere della Sera, 2 dicembre 2017
E i repubblicani votano la riforma che taglia le tasse a imprese e ricchi
NEW YORK Sembrava impossibile che un Paese prospero ma segnato da sperequazioni estreme nella distribuzione della ricchezza potesse varare una riforma tributaria destinata ad aumentare le diseguaglianze. E sembrava impossibile che un Congresso dominato da un partito repubblicano ossessionato dal deficit che da anni denuncia una spesa pubblica fuori controllo desse via libera a interventi che potrebbero far salire il debito federale di ben 1.500 miliardi di dollari in dieci anni.
E, invece, sta accadendo. Una riforma attesa da decenni (l’ultima era stata quella di Reagan, 30 anni fa) è stata approvata a tempo di record prima dalla Camera e ieri sera era in dirittura d’arrivo anche al Senato dove molti parlamentari dubbiosi hanno rotto gli indugi, spinti da considerazioni di opportunità politica. La versione approvata dal Senato, diversa e perfino più onerosa di quella varata dalla Camera, verrà ora sottoposta al processo di riconciliazione dei due diversi testi legislativi.
Ma è ormai evidente la volontà di chiudere molto rapidamente la partita, date le pressioni estreme dei finanziatori del partito repubblicano e della Casa Bianca che, col presidente in difficoltà su vari fronti, soprattutto dopo l’incriminazione di Flynn, ha assolutamente bisogno di una vittoria parlamentare. Quelli contenuti nella riforma sono interventi ambiziosi, anche se bisognerà aspettare la stesura definitiva per valutarne la portata, visto che il Senato ha cancellato alcune delle novita più significative introdotte dalla Camera come la riduzione delle aliquote da 7 a 4 e l’eliminazione della «alternative minimum tax».
Donald Trump ha sostenuto che questa riforma è vantaggiosa per tutti. Poi, senza fare troppo caso alle contraddizioni, ha detto che a lui personalmente costa cara. In realtà anche il gruppo Trump dovrebbe risparmiare mentre è vero che, almeno all’inizio, quasi tutti pagheranno meno tasse grazie al calo delle aliquote.
Il nodo vero è quello della distribuzione dei benefici. I vincitori assoluti vanno cercati tra le imprese con l’imposta sui loro profitti che cala dal 35 al 20% e con la possibilità di rimpatriare gli utili non tassati depositati all’estero pagando un modesto 10%. Nessun vantaggio, invece, per artigiani e piccole imprese. Quanto alle persone fisiche, guadagnerà di più chi percepisce redditi medio-alti, ma stavolta anche il ceto medio riceverà benefici non irrilevanti grazie al calo delle aliquote e all’aumento delle detrazioni fisse. I poveri, invece, non hanno nulla da festeggiare: niente benefici per chi ha un reddito talmente basso da non essere tassabile, mentre per tutti si delinea un aumento del costo delle polizze sanitarie. È la conseguenza prevedibile di una norma inserita nella riforma fiscale che, per colpire quella sanitaria di Obama, cancella l’obbligo ad acquistare una polizza medica e le relative sanzioni per gli inadempienti.
Insomma una riforma pensata soprattutto per le imprese e i ricchi, come si deduce anche dall’euforia che continua a regnare in Borsa. Trump promette che per questa via aumenterà la crescita economica: saliranno i redditi di tutti e anche le entrate fiscali con conseguente contenimento del deficit pubblico. Ma il senatore Lindsay Graham, vicinissimo a Trump e grande sostenitore della riforma, ha spiegato la situazione con franchezza: «Se il partito repubblicano che ha tutte le leve del potere chiudesse l’anno senza approvare nessun provvedimento importante perderebbe il sostegno dei suoi grandi finanziatori nella campagna elettorale 2018». E agli imprenditori sponsor dei conservatori la riforma delle tasse interessa molto.