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 2017  dicembre 02 Sabato calendario

I licenziamenti sospetti che inguaiano Trump

Il procuratore speciale Robert Mueller sta istruendo la sua inchiesta come da manuale: è partito dalle imputazioni minime nei confronti di Flynn come aveva già fatto con Manafort, Gates e Papadopoulos, ma si è anche aperto la strada per risalire a ritroso la scala del potere. 
Nella dichiarazione giurata che l’ex consigliere per la Sicurezza nazionale aveva firmato già giovedì sera, Flynn si è impegnato a testimoniare contro qualsiasi membro dell’amministrazione e della famiglia presidenziale. Flynn ha inoltre ammesso di aver avuto non solo i due contatti che finora si conoscevano con l’ambasciatore russo Kirlyak, ma uno scambio continuo con i funzionari del governo moscovita, del quale ha riferito ad almeno due suoi colleghi della squadra di transizione presidenziale. 
Secondo il legale di Trump, Ty Cob, questo vuol dire che Flynn ha mentito su quegli incontri sconvenienti davanti all’Fbi, esattamente come ha fatto di fronte al vice presidente Mike Pence che gli chiedeva lumi, e che quindi il suo reato resta fuori dal perimetro dell’amministrazione. Cob conclude che su questo binario l’inchiesta arriverà presto a conclusione con buona pace per tutti.
I RAPPORTIIn realtà la natura continuativa dei contatti fa pensare ad una trattativa in atto. La linea di comunicazione che Flynn ha mantenuto nell’entourage di Trump apre poi le porte alle insinuazioni più gravi. Se il misterioso funzionario di primo piano della squadra di transizione che era a conoscenza del negoziato è Jared Kushner, come dicono le prime indiscrezioni, è impensabile che Trump stesso non ne fosse informato.
E se Trump sapeva che la sua squadra si stava accordando con i russi, allora le sue azioni successive diventano potenziali atti di ostruzione della giustizia, punibili con l’impeachment: dal licenziamento della vice ministro per la Giustizia Sally Yates, che era andata alla Casa Bianca a dire che Flynn era vittima di un kompromat, a quello del direttore dell’Fbi James Comey, che aveva resistito alle pressioni di Trump per chiudere in fretta l’inchiesta. Siamo ancora ben lontani da questo scenario, ma la tattica di Mueller fa pensare che la strada per arrivarci sia tutta aperta.
Flynn ha ammesso che ha ancora molto da raccontare, o forse l’ha già fatto. In seguito all’ammissione di colpa che ha firmato, non può più difendersi dietro il diritto di non rispondere alle domande del giudice. E se dovesse rifiutarsi di cooperare, Mueller può revocare l’accordo e perseguirlo per altri capi di imputazione, come ad esempio l’aver agito da agente straniero mentre era al governo nei fatidici 25 giorni di gennaio, prima del licenziamento, o forse addirittura imputarlo di tradimento contro il proprio paese. 
In un comunicato diffuso dopo l’uscita dalla sala del tribunale, l’imputato dice di aver agito «nel miglior interesse della mia famiglia e della nazione». Una frase che sicuramente avrà fatto correre brividi sulla schiena di molti all’interno dell’amministrazione.
L’ATTESA
Un altro segno che i giochi sono appena iniziati è la composta reazione della squadra legale che difende Donald Trump e la sua famiglia. Gli avvocati hanno rinnovato ieri dichiarazioni di fiducia e di piena disponibilità a collaborare con Mueller, sicuri, si sono detti, che il passaggio in aula di ieri serva finalmente a dirigere l’inchiesta verso la fase finale. Vedremo se tanta moderazione resisterà quando le prossime carte saranno calate sul tavolo. L’ex direttore dell’Fbi James Comey ha sintetizzato quanto è accaduto ieri con un salmo dell’Antico Testamento, che dice: «Che il diritto scorra come acqua, e la giustizia come un torrente in piena».