Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  novembre 30 Giovedì calendario

Un’altra donna accusa il sindaco di Mantova

Un’altra associazione, un’altra donna, un altro contributo mancato. Anche lei a denunciare irregolarità nell’erogazione di fondi da parte del Comune. Perché la sua società ne sarebbe rimasta esclusa in modo, a suo dire, ingiusto. Una piccola realtà con ambizioni artistiche, anche se la persona in questione fa dell’altro nella vita: gestisce un locale del centro di Mantova. È una donna che ha combattuto in modo vulcanico la battaglia per il contributo. C’è chi ricorda le sue sfuriate nelle stanze nobili del palazzo municipale, una addirittura bloccata dall’intervento delle forze dell’ordine. Ed è in quell’occasione, dopo l’ennesimo scontro, che lei avrebbe iniziato a parlare con gli inquirenti dei suoi sospetti sul sindaco e del suo debole per le donne.
«Non sono indagata, non mi va di entrare in questa vicenda e devo stare zitta», ha tagliato corto ieri al telefono. Tempo fa aveva postato su Facebook una foto in cui compariva rapata a zero: «L’immagine della sofferenza», era il commento con un chiaro riferimento al «torto» subito dei fondi che non le erano stati concessi.
Esattamente come era successo alla vicepresidente della piccola associazione culturale al centro dell’inchiesta della Procura di Mantova per tentata concussione «sessuale». Fra lei e il sindaco sta emergendo un rapporto molto stretto, seppure solo via chat, intervallato da qualche incontro nel quale lei cerca sempre di marcare una distanza. Nei messaggi, oltre un anno di WhatsApp e sms, talvolta sembra assecondare il sindaco, fino a spedirgli pure lei una foto «nature», in risposta alla sua che era dello stesso tenore. 
Palazzi parla ora di provocazioni. Ma in questo gioco lungo centinaia di messaggi, lei non muove mai il primo passo. E mette un confine ben preciso, quasi una regola d’ingaggio: nessun contatto fisico. 
Se Palazzi non fosse stato il sindaco di Mantova e se lei non gli avesse chiesto un contributo in nome della sua associazione, la questione sarebbe rimasta probabilmente confinata ai loro iPhone. E si sarebbe forse risolta nella reazione indignata della donna al tentativo di Palazzi di andare oltre, cosa peraltro successa. Ma il problema sono le allusioni del sindaco mescolate alle richieste hot: «Sai che un’associazione a volte non va avanti senza il mio consenso. Cerca di attenerti alle regole». Per la Procura, che ha però in mano dell’altro, è tentata concussione. 
Per lui è la riprova del suo rigore professionale. «Mai nella mia attività amministrativa ho favorito qualcuno o ostacolato altri per i miei interessi personali», ha ribadito ieri davanti ai consiglieri comunali in un’aula gremita. «Non mi dimetterò perché sono innocente e so di essere un sindaco onesto. Ma non mi basta saperlo, voglio anche dimostrarlo e per questo riprenderò a lavorare a pieno ritmo». 
E ha deciso di sostituire «dolorosamente» il suo avvocato, Paolo Gianolio, con il professor Giacomo Lunghini, avvocato milanese specializzato in diritto penale dell’economia e dell’impresa. Forse un segnale sulla natura dei suoi tormenti.
(ha collaborato Sabrina Pinardi)