Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  novembre 30 Giovedì calendario

Malaparte e l’incompiuto ritratto di Pio XI

Nell’anno del sessantesimo anniversario della morte di Curzio Malaparte, la casa editrice fiorentina Passigli ha dato alle stampe Muss. Ritratto di un dittatore. Una biografia sui generis dedicata al duce, iniziata nel 1931, mai completata definitivamente, e su cui il ’maledetto toscano’, pochi anni prima di morire, ancora continuava a lavorare. Nelle note finali della curatissima edizione di Passigli, che ha in cantiere la pubblicazione di tutti i racconti dell’autore toscano, Giuseppe Pardini, già autore di Curzio Malaparte, biografia politica e curatore della ristampa anastatica della rivista “Prospettive”, oltre a ripercorrere la travagliata redazione del testo, fa cenno alla biografia, rimasta solo in forma di bozza, dedicata ad Achille Ratti, salito al soglio di Pietro con il nome di Pio XI. Dal 2009 quelle carte sono conservate presso la Fondazione Biblioteca di via del Senato a Milano, all’interno dell’Archivio Malaparte. Si tratta di ventisette fogli dattiloscritti, con varie correzioni a penna e “riscritture” a macchina.
«Malaparte – ci ha spiegato Pardini – iniziò a scrivere una piccola biografia politica di Pio XI quando si trovava ’esule’ a Parigi nel 1931. Tornò in maniera più incisiva sul lavoro alla fine degli anni Quaranta, quando il giudizio sull’opera di papa Ratti, scomparso nel febbraio 1939, divenne meno soggetto alle influenze dell’attualità». Malaparte, è doveroso ricordarlo, parla di Ratti in Tecnica del colpo di Stato e Le bonhomme Lénine,entrambi pubblicati da Grasset all’inizio degli anni Trenta. Ma si tratta di accenni, ben diversa doveva essere la biografia che aveva in mente. Chiarisce in quella che probabilmente doveva essere l’introduzione: «Il ritratto che io mi propongo di disegnare sarà piuttosto un ritratto a grandezza naturale, che un ingrandimento o una diminuizione dell’originale. Ho avuto l’occasione, per più di un anno, di studiare talmente da vicino il Papa attuale, che mi riuscirebbe difficile, per qualunque ragione, alterarne le dimensioni reali».
Malaparte aveva conosciuto Ratti, allora nunzio apostolico, nel 1919 a Varsavia, dove si trovava come addetto alla Regia legazione d’Italia. «Ero molto giovane – continua –, pieno di zelo e curiosità, e dopo quattro anni di guerra, come ufficiale delle truppe d’assalto, ero assetato di conoscere da vicino uomini e cose». Aveva l’abitudine di prendere nota di ciò che lo colpiva, perché fermamente convinto che «la vita è fatta di dettagli e sfumature, e che le cose grandi sono fatte di cose piccole». Il nunzio era stato tra i personaggi che più lo avevano interessato. Così lo descrive: «aveva un viso bianco, grosso e un collo piuttosto corto. La sua voce era lenta e grave. Ricca di inflessioni profonde e di sfumature, suonava dolce all’orecchio». Ratti amava i libri e, cosa insolita per un prelato (almeno in quel tempo), lo sport, in particolare l’alpinismo. Spesso, si recava a fare escursioni sui Carpazi, con «la sottana rialzata sulle ginocchia» e «un gran cappello da prete dalle larghe falde, simile a quello di un cowboy». Si racconta, anche, ma nelle bozze non se ne fa cenno, che Ratti diede alcune lezioni di scherma al giovane e irruento Malaparte.
I due si vedevano in casa di nobili famiglie polacche e nei magnifici ricevimenti ufficiali dati dal presidente Ignacy Paderewski, famoso pianista prestato alla politica, che, «malgrado la sua inarrivabile maestria, non riusciva a trarre che suoni stonati e melodie stridenti» da quel «vecchio clavicembalo» che era allora la Polonia. Durante le frequenti e fastose serate di gala, il Nunzio arrivava per ultimo, accompagnato da monsignor Ermenegildo Pellegrinetti.
La moglie del presidente, Madame Paderewski, aveva ambizioni chiromantiche e si piccava di non essere riuscita a leggere la mano del Nunzio. Ma una sera, d’improvviso, gliela prese e vi lesse «il suo avvenire illuminato da validi riflessi della porpora cardinalizia». Per poi annunciare con fare circospetto, occhi sbarrati e voce bassa: «non osavo dirlo, ma vostra Eminenza sarà Papa». Vero o inventato che sia, il presule, annota Malaparte, accolse la notizia con «un sorriso d’uomo di mondo» e minimizzò facendogli notare che probabilmente la Divina Provvidenza aveva in progetto per lui funzioni ben più modeste.
In quei giorni Ratti era molto criticato per il carattere «equivoco della sua diplomazia, mescolata di divino e umano, di angelico e di machiavellico». In particolare, si criticava «la sua eccessiva obbiettività verso i Sovieti». Ratti aveva deciso che non avrebbe lasciato Varsavia, sarebbe rimasto al suo posto, qualunque cosa fosse successa. «Del resto – chiarisce Pardini – si stava combattendo una battaglia campale, se i comunisti russi avessero vinto, in Polonia, si sarebbe attuata la rivoluzione permanente, sostenuta da Trotzkij, e il conseguente ’contagio’ rosso nell’Europa occidentale». Confessa Ma-laparte: «Mi pareva che negli ambienti ufficiali di Var- savia si esagerasse nella diffidenza verso il nunzio». In realtà un ecclesiastico «dai modi un po’ eccentrici» che ammirava Wilson («il solo capo democratico che ha una concezione cattolica della missione della democrazia») e di Lenin diceva: «È una rara intelligenza ma guastata dalle cattive letture e dalle cattive compagnie». Malaparte aveva intenzione di soffermarsi molto sul periodo polacco perché, secondo lui, era una fase poco nota ma indispensabile per capire la mentalità di Ratti, del quale, dall’inizio degli anni 20, aveva perso le tracce sino al giorno dell’inaspettata, almeno per lo scrittore, elezione. Malaparte voleva passare, poi, ad analizzare il rapporto tra il nuovo papa e il fascismo, divenuto ben presto «un pericolo per la Chiesa». Pio XI, che «non mancava di esperienza politica né di cultura storica, e sapeva dove dirigere i suoi colpi», capì che era il momento di resistere. E così, i «vescovi che erano già prossimi a sottomettersi, si rialzarono in fretta, e l’Italia cattolica fu scossa da un fremito di ribellione».
Nel testo c’è spazio anche per un breve ritratto, intenso e personalissimo, di Giacomo della Chiesa: «Benedetto XV non era l’uomo capace di affrontare con risolutezza le difficoltà della situazione. Era sicuramente un gran Papa ma la sua grandezza era soltanto intellettuale e morale: era già molto, ma non ancora abbastanza». Mancava, secondo lo scrittore pratese, di pragmatismo, di piglio decisionale, a causa di un «carattere debole e incerto, sempre assorto nelle sfere superiori delle speculazioni teologiche», per cui «non prendeva contatto con la realtà che raramente e solo per allontanarsene subito disgustato. Stanco, debole e malato, i suoi occhi si riempivano spesso di lacrime. Pregava per la salvezza dell’Europa come si prega per un moribondo». La biografia avrebbe dovuto avere “un terzo atto” che non fu mai nemmeno abbozzato. Anche se, il toscano, in quelle che sono delle note di lavoro, non escludeva che «questa commedia abbia un quarto atto». Per poi specificare: «Ho parlato, fino ad ora, di una commedia. Ma era un dramma più di una commedia».